La notte di un duro giorno (un’appendice sul Bar Perù) [Il Superstite 231]

Arona Danilo nuovadi Danilo Arona

 
Mi capita fra le mani uno dei tanti, tantissimi, valorosi volumi editi dalla casa alessandrina Falsopiano, fondata dagli indomiti Roberto Lasagna e Saverio Zumbo, un bel volumazzo che s’intitola Il cinema dei Beatles, scritto a tre mani da Simone Arcagni, Paolo Gep Cucco e Guido Michelone.
Libro uscito nel 1998, riccamente illustrato e raccontato, oltre 450 pagine che hanno il potere di farti viaggiare all’indietro con la memoria e di farti tornare a un periodo straordinario, vivace e appassionante. E quando a pagina 114 vedo il capitolo sul film Tutti per uno, titolo italiano di A Hard Day’s Night, e leggo dell’impatto che ebbe sui giovani di allora durante l’inverno 1964-65, ecco che rivivo, quasi in una sorta di trance ipnotica eterodiretta da un’invisibile entità, una serata in cui una brigata di piccoli e provinciali pseudo-cloni degli scarafaggi di Liverpool si diedero appuntamento per fiondarsi nel cinema in cui si proiettava il film di Richard Lester.

Sono assolutamente certo che si trattasse di una serata uggiosa e invernale. Il film era uscito in Italia nell’agosto ’64, ma da noi l’uscita fu rimandata a qualche mese più in là. Sono altrettanto certo che fosse una serata, come si dice in un dialettismo intraducibile e inarrivabile, “scubia”, che so, un martedì sera, quelle serate che sulla carta non sono e non saranno mai né carne né pesce, insomma, quando non c’è trippa per gatti. Sì, perché, nonostante ciò che potrebbe sembrare a mezzo secolo di distanza, a vedere il primo film dei Beatles – soprattutto in una città di provincia piuttosto refrattaria alle rivoluzioni e ai cambiamenti – non ci andavano poi tante persone. Solo giusto gli aficionados, i fiancheggiatori, i primi timidi “capelloni”.

E poi i Beatles, pur non essendo proprio agli inizi (A Hard Day’s Night era il loro terzo album),Perù Beatles non avevano ancora conosciuto quell’esplosione di fama planetaria che sarebbe arrivata da lì a pochissimo. Ciliegina sulla torta, si era sparsa la voce che il film era in bianco e nero e praticamente senza trama, ingredienti sufficienti a tener lontani dal cinema abituali frequentatori. Per cui, credo di non sbagliare, il film restava in programmazione giusto un paio di giorni. Per cui o quella sera, o nisba.

Luogo dell’appuntamento, il locale di cui ho già scritto quasi tutto, il mitico “Bar Torrefazione Perù” che si ergeva come un faro in Viale Medaglie d’Oro nel Rione Pista, laddove oggi compare la sede della Telethon. Lo ricordo: il bar, nostro abituale punto di ritrovo, era gestito da due indimenticabili personaggi, Teresio “Nanni” Baroni e Gino Podestà che, con grinta e simpatia nonché l’energica collaborazione delle gentili consorti, sapevano come tener a bada la fiumana di ragazzotti esagitati che invadeva pomeriggio e sera quegli angusti e caldi spazi. Uno dei grandi canovacci quotidiani, lo avrete senza dubbio capito dalle puntate dedicate. era lo scontro con Gino e Teresio sui rispettivi gusti musicali. Ambedue i titolari infatti erano ex musicisti e Teresio, come Nanni Baroni, era stato uomo di punta delle attrazioni musicali alessandrine negli anni Cinquanta. Persone che se ne intendevano senza dubbio più di noi e che, amanti delle classiche melodie all’italiana, entravano nella giusta rotta di collisione quando, imbracciando le stecche del biliardo come se fossero chitarre, tentavamo pateticamente di mimare i Beatles urlando Twist and Shout.

Le manovre di quella sera naturalmente non sfuggirono ai nostri, che subito diedero fuoco alle polveri, consigliandoci di non andare a buttar via le duecento o trecento lire per l’ingresso (allora tanto si pagava) per “vighi ‘si quater scavion”. Ne seguì una discussione infervoratissima che, come sempre, si concluse con Baroni che gorgheggiava qualche pezzo degli anni Cinquanta con gli occhi semichiusi e l’immutato fervore dell’autentico musicista. Bei tempi.

Alle nove e mezza ci mettemmo in marcia, una decina di tipastri con vari soprannomi (lo Smilzo, Tamba, Tampone, il Rosso, Jack e altri), e raggiungemmo il cinema Moderno. Nel locale semivuoto restammo in adorazione per gli ottantacinque minuti del film. All’uscita tutti erano in preda a fenomeni di eretismo nervoso. Ci mettemmo in marcia in direzione dei quartiere Pista cantando le varie canzoni appena assorbite dallo schermo e all’altezza della Standa ci piovve un vaso di fiori un metro prima dei nostri piedi. Infine raggiungemmo di nuovo il Bar Perù, ma il buon Teresio aveva giustamente già chiuso i battenti. Lì davanti i cloni alessandrini dei Beatles restarono a cantare a squarciagola, sino a quando non si aprì una finestra al secondo piano e una secchiellata liquida (forse non era acqua) smaltì i nostri bollenti spiriti. Ce ne tornammo a casa in fretta perché il clima ci remava contro. Anche quella, tutto sommato, si dimostrò la notte di un duro giorno.