Sanità e territorio: ancora venti di guerra? [Controvento]

Ospedale corsiadi Ettore Grassano

 

Mentre dal tortonese continuano a soffiare gelidi venti di guerra (dal ricorso al Tar contro il ridimensionamento dell’ospedale cittadino fino al minacciato referendum per ‘annettere’ tutta quell’area della provincia alla Lombardia), la riforma della sanità piemontese, e alessandrina, sembra destinata a procedere.

Lunedì sera a Palazzo Rosso toccherà all’assessore Saitta, al presidente della commissione regionale Ravetti e al sindaco Rossa (nella sua veste di pressidente della rappresentanza dei sindaci dell’Asl provinciale) raccontare a che punto siamo della riorganizzazione, e che cosa dobbiamo aspettarci per quest’anno, e per gli anni a venire.

Non che intuirlo sia difficile: se i conti non tornano mai, e le risorse vengono progressivamente ridotte anno dopo anno (ma è quel che succede in tutti i comparti del Paese, come non accorgersene?), la soluzione non potrà che essere una progressiva riduzione dei servizi, che siano essi territoriali (oggetto delle ‘rivolte’ di questi mesi), o peggio ancora sul fronte della qualità delle prestazioni. Di cui si parla meno, ma che è il rischio vero e tutt’altro che remoto.

Ne abbiamo parlato di recente con il presidente dell’Ordine dei Medici, Mauro Cappelletti, in un’intervista che vale la pena rileggere, in certi passaggi.

Da cittadini/pazienti, ben sappiamo che la sanità pubblica alessandrina è oggi a livelli più che dignitosi, anche se non esente da pecche: un anno e mezzo di attesa per un’operazione di caratatta, e se si ha fretta la si fa a pagamento nel privato ‘sganciando’ intorno ai 1.800 euro, tanto per capirci. E per chi davvero non ce li ha, gli euri, osiamo sperare che ancora esista un minimo di attenzione, ma non è scontato.

Ovvio quindi che lo scenario non potrà che essere quello di una decrescita poco felice, in cui chi può si cura davvero, e chi non può si limita a prestazioni da pura sopravvivenza. Com’era del resto fino a metà degli anni Settanta del secolo scorso, quando il welfare sanitario italiano dispiegò pienamente le sue ali. Potremmo discutere all’infinito, naturalmente, sulle modalità con cui la politica ha gestito e sperperato le risorse, quando c’erano. Per limitarci al contesto locale, è evidente che l’ultima grande occasione la si è persa non più di 7-8 anni fa, lasciando a poco a poco naufragare il progetto di un nuovo, moderno ospedale provinciale, o meglio pluriprovinciale.

Oggi il Santi Antonio e Biagio, per quanto hub di riferimento per Alessandria e Asti, ha limiti strutturali e logistici che sarebbe ridicolo fingere di ignorare, ed è ovvio che chi abita in piccoli centri delle valli tortonesi, o acquesi, tema di ritrovarsi in territori sempre più marginali ed abbandonati: perchè sarà davvero così, nel giro di pochissimi anni, checché ne dicano i politici al governo della regione, e del territorio.

D’altra parte si fa fuoco con la legna che c’è, dicono i più realisti. E oggi la legna è sempre meno, e sempre più verde. Che poi, nel regime della coperta corta, si siano fatte scelte il cui, guarda caso, le parti della Provincia in cui il Partitone è più forte sono anche le più tutelate, è altrettanto innegabile. Ma anche questo fa parte del gioco, inutile scandalizzarsi.

Intanto all’orizzonte si profila la partita che più interessa agli addetti ai lavori: quella della nuova infornata di manager ospedalieri e sanitari da parte della Regione. Le manovre sono in pieno svolgimento, anche se tutto passa assolutamente almeno tre metri sopra il cielo dei cittadini alessandrini, in chilometrica fila per il loro esamino del sangue o visita ambulatoriale.