Tanti lettori del nostro magazine certamente già la conoscevano, ma altri l’hanno scoperta, qualche settimana fa, attraverso lo splendido racconto di Danilo Arona, che vale la pena rileggere.
Da lì anche la nostra curiosità di saperne di più su quella “mora peperina, una che addenta la vita”, e la cui musica ti si imprime nell’anima. E l’abbiamo incontrata, Giorgia Barosso: parmense quarantenne, vulcanica e creativa, vive a Valenza da tanti anni (“e prima ad Alessandria: arrivai qui da ragazzina, con i miei genitori”), ed è nata con la musica nel sangue: “mio padre batterista, per vent’anni in tournée con le Kessler, e con altri cantanti degli anni Sessanta e Settanta. Mia mamma brava cantante. Ed io che da bambina mi esibivo in casa, con un cucchiaio di legno come primo microfono: e visto che volevo muovere tutte e due le mani, come il mio idolo Mina, trovai il modo di legare il cucchiaio ad una scopa, che incastravo tra tavolo e sedia, e faceva da asta”. Poi, nel tempo, ecco gli studi al Conservatorio di Alessandria, i corsi con grandi insegnanti come Tiziana Ghiglioni, e l’amore ‘adulto’ per il jazz. Fino a quel piccolo grande capolavoro, uscito qualche mese, che è il cd Stories Yet To Tell, con nove pezzi (in parte inediti di cui è autrice la stessa Giorgia, in parte classici ‘ampiamente rivisitati’) tutti da ascoltare, con brividi ed emozioni annesse. Ma com’è fare musica, e musica jazz in particolare, in Italia, e dalle nostre parti? E quanto conta, per Giorgia Barosso, fare musica, e farla bene? Vi raccontiamo la sua storia: ricca di passione, di grinta, e certamente anche di divertimento: “senza cantare non riuscirei a vivere, semplicemente: sarei una persona dimezzata”.
Giorgia Barosso, Danilo Arona ha fatto di te ai lettori di CorriereAl una descrizione davvero impegnativa: da grande artista, con una voce che ‘fa tremare il bicchiere in mano”…
(fa una bella risata, rilassata…ndr) Ho letto, e molto apprezzato. E’ stata una bella sorpresa diciamo: Danilo è un amico da tanti anni, e persona straordinaria, come scrittore e anche come musicista. Per questo il suo giudizio mi lusinga doppiamente. Spero di essere all’altezza…
Spieghi a noi profani cos’è il jazz per te, e come ci sei arrivata?
Ah, il jazz è un universo di emozioni vere, straordinarie. Ed è un universo musicale che adoro, che non finirò mai di esplorare, scoprendone sempre nuove sfaccettature. Ma non voglio mica ‘tirarmela’ da intellettuale, sia chiaro: a me la musica piace tutta, e l’ho praticata a tutte le latitudini, bazzicando generi e artisti diversissimi tra loro. Il jazz è stato un po’ l’approdo finale, la svolta verso la maturità.
Raccontiamo la tua storia dall’inizio allora: la tua biografia dice che sei nata a Parma. Come sei arrivata a Valenza, e perché?
Ero ragazzina, e i miei si trasferirono ad Alessandria, e poi a Valenza, per ragioni di lavoro di mio padre. Che, oltre alla sua attività di artigiano, è stato anche un ottimo batterista. I virus della musica insomma in casa c’era già, abbondantemente: anche mia mamma cantava. Ed io ricordo che, da bambina, quando lui non c’era suonavo (o così credevo!) la batteria di mio papà: essendo mancina, gli spostavo tutti i pezzi, e poi cercavo di risistemarli. Ma tu provaci, a spostare di un millimetro gli attrezzi del mestiere ad un batterista: se ne accorgeva ogni volta!
E quando hai cominciato ad esibirti in pubblico?
Da ragazzina: cantavo in una corale di voci bianche, avevo 8 anni. E prendevo l’impegno molto, molto sul serio. Già da adolescente poi ero convinta di una cosa: che per essere una brava cantante avrei dovuto studiare seriamente la musica, e gli strumenti. Da cui le medie interne al Conservatorio di Alessandria, e poi il proseguimento degli studi di pianoforte, in parallelo al diploma, perché come dicevano i miei ‘la musica è bellissima, ma non ci si campa’. E tutto sommato avevano ragione.
Ma al jazz come ci sei arrivata?
Avevo poco più di vent’anni, facevo serate, avevo un mio gruppo e un repertorio che spaziava un po’ in tutti i filoni della musica italiana e non. Ma avevo voglia di crescere, e mi iscrissi al Cpm a Milano. Dove studiai jazz per tre anni, con la guida di una figura di grande valore come Tiziana Ghiglione. Con lei ho imparato davvero cos’è l’improvvisazione vocale, mentre un’altra insegnante, una soprano, mi insegnò la tecnica vocale, che è un’altra cosa.
Tecnica, più capacità di improvvisazione….e poi ci vuole il talento, naturalmente. E chi ti conosce dice che ne hai da vendere…
Le valutazioni le lascio ai critici, e agli esperti. Posso dirti, questo sì, di avere una smisurata passione per tutta la musica, e per il jazz in particolare. E’ straordinario potere, in particolare, utilizzare la tua voce come uno strumento, e scoprirne le potenzialità, via via crescenti. Un po’ il lavoro che faceva Demetrio Stratos, per citare un mito passato certamente alla storia. In realtà fin da ragazzina ho ascoltato moltissima musica, prima di imparare a farla, diciamo così: cito senz’altro Mina, la mia cantante italiana preferita da sempre, e anche Barbara Streisand. Ma soprattutto le grandi voci femminili nere, che hanno da sempre una marcia in più, non chiedermi perché. Da Ella Fitzgerald (nella foto) a Billie Holiday, a tante altre. Ogni volta che le ascolto, e cerco inutilmente di arrivare al loro livello, tra me e me dico: ‘accidenti a me, che sono bianca!”
Il tuo curriculum artistico, tra gli anni Novanta e Duemila, parla di vent’anni fitti fitti di progetti musicali, sperimentazioni, concerti live, album e cd. Con esibizioni in tutto il nord Italia, ma baricentro di vita sempre a Valenza…
Eh sì, qui mi sono sposata, e qui ho sempre lavorato, nel settore orafo. Valenza è, nel bene e nel male, nel mio destino, tanto che quando per lavoro, con mio marito, ci siamo trasferiti a Bologna, dopo neanche due anni siamo rientrati, perché l’azienda in questione si trasferì, pensa un po’, proprio a Valenza!
Com’è il panorama musicale di casa nostra, sul fronte dei locali in cui esibirsi?
Domanda imbarazzante, ma non posso essere diplomatica. E’ desolante purtroppo: soprattutto se hai un progetto che prevede esibizioni dal vivo, con i tuoi musicisti, qui da noi mancano assolutamente gli spazi, le opportunità. Tant’è che, sempre più, mi esibisco altrove, da Torino a Biella, da Genova a Milano, o Bergamo. Esiste un circuito di cultori del jazz, che è una musica che richiede anche appunto un contesto adeguato. Non ti puoi esibire nei ristoranti o nei pub insomma, mentre la gente mangia: è svilente. Mentre ci sono poi locali anche piccoli, come il Voglia di caffè di Dorno, in Lomellina, che rappresentano delle piccole oasi di ottima musica, in contesti intimi e gradevolissimi. Quest’anno poi pare che, a maggio, sarò finalmente invitata anche ad esibirmi a casa mia, a Valenza. Vedremo: sai, c’è sempre la questione del nemo propheta in patria…
Negli ultimi anni ti sei cimentata con due progetti artistici impegnativi. Il primo, datato 2009, è il Barosso e Calabrese 5et….
Sì, confermo. Con il trombettista Luca Calabrese, e tre bravissimi musicisti, ossia Luciano Milanese, Carlo Uboldi e Marco Castiglioni, abbiamo realizzato l’album “The Party is On”, presentato con successo in molti affermati jazz club italiani. E’ stata una bellissima esperienza, conclusa la quale però mi è venuta la voglia di provare a fare un album tutto mio….
Ed è nato il cd Stories Yet To Tell, uscito da poco e che ti appresti a promuovere con una serie di date ancora invernali, e poi estive…
Esatto. Anche qui: tutto è partito perché ho re/incontrato la persona giusta, ossia Mario Zara, che tra l’altro è di Volpedo. Mario è anche un bravissimo arrangiatore, e sono riuscita a coinvolgerlo in questo mio progetto di inediti miei, più classici rivisitati in maniera molto personale. Abbiamo individuati i musicisti secondo me più adatti al progetto. Ed è nato questo cd, a cui tengo molto, in cui suonano, con me e Zara, anche Fabrizio Bosso alla tromba, Riccardo Bianchi alle chitarre, Marco Ricci al contrabbasso e Michele Salgarello alla batteria. Ci aspettiamo davvero molto, e le critiche fino ad oggi sono state davvero positive.
E poi c’è la Giorgia Barosso speaker radiofonica: ci racconti cosa fai a Radio Vertigo 1?
E’ un’esperienza bellissima, nata quasi per caso. Fui intervistata in radio nel 2011, e da lì nacque l’idea di uno spazio serale settimanale interamente dedicato a jazz e blues. In diretta naturalmente, il martedì sera a partire dalle 21, per due ore di musica su cd, ma anche di storie di artisti, spesso anche con ospiti in studio ed esibizioni live. Gli ascolti stanno andando benissimo, e una radio web arriva assolutamente ovunque. Abbiamo ascoltatori (e spettatori: perché andiamo anche in video, ad ottima definizione) da tutto il mondo, trasmettendo dagli studi di Alessandria!
Giorgia, non abbiamo parlato della dottoressa Barosso, laureata in scienze sociali…
Beh, quella è un’altra bella parentesi della mia vita: mi sono iscritta all’università (a Palazzo Borsalino) a 35 anni, e a 39 ho discusso la tesi triennale. Non male, considerato che al contempo lavoravo e facevo musica. Certo, in quel periodo ho rinunciato a qualche concerto, per trascorrere serate sui libri. Ma ne valeva la pena: e ora ho tutto il tempo per recuperare!
Ettore Grassano