di Dario B. Caruso
Una notte passata nel piccolo albergo di un piccolo paese cambia la prospettiva.
Anzi trasferisce il tuo ricordo nel passato, come una capsula del tempo che ti proietta indietro nella tua storia personale.
I suoni che ci appartengono sono depositati nella nostra RAM.
Sappiamo usare al meglio quella del PC e ci dimentichiamo di quella interna a noi stessi, che triste storia.
Una notte fresca d’agosto.
A casa si schiatterebbe.
Qui viaggiamo a 18-20 gradi a fronte dei 28-30 che patiremmo.
Mi addormento dopo un’ottima cena e una buona compagnia; è tardi ma i pensieri lentamente digradano verso il sonno e perdo la contezza del reale e dell’onirico.
Bello.
Sarà il vino, penso o credo di pensarlo. Che importa?
Poi due rintocchi della vicina torre campanaria non interrompono il flusso, anzi lo accompagnano più in profondità.
Il tempo, di notte, ha un significato differente. Non esistono ansia e fretta, esiste l’attesa.
Tre rintocchi scandiscono una piacevole sensazione, quella di avere tempo per riposare.
Le membra sono assenti, sono immerso in un liquido tiepido e sto galleggiando con naturalezza.
Don
Don
Don
Don
Poi perdo le cinque e le sei del mattino.
Ritorno a percepire la campana allo scoccare dei sette rintocchi.
Li conto; sono proprio sette, forse.
Alle otto balzo seduto sul letto, carico come una molla e riposato come un messicano dopo un mese di sieste.
Molte chiese, soprattutto nelle città, hanno silenziato il suono delle campane.
Lo hanno fatto a seguito di denunce di privati cittadini esasperati, di raccolte firme di comitati di quartiere, di lamentazioni di turisti insofferenti.
Quanta ricchezza si va perdendo…
Quanta sensibilità si va estinguendo…
La nostra RAM, quella personale, ha circuiti che talvolta spegniamo e dimentichiamo in un angolo remoto; l’esercizio del recupero dei dati è complesso e va a nostro vantaggio.
Il rintocco delle campane di una piccola chiesa in un piccolo paese è memoria.
Non lo dimentichiamo.