di Mauro Remotti
Terminiamo la rassegna dei personaggi folcloristici alessandrini con quattro commercianti sicuramente pittoreschi: Camulón, Giota, Pedana e Vanoli.
Camulón era un tipo bruno con una pancia prominente, che possedeva un banchetto di dolci (tra cui i caratteristici laccaboni1) e granite (in vernacolo, grate). Era così appellato a causa del viso butterato dal vaiolo. Si narra che era solito tirare l’impasto ancora caldo a mo’ di cordone e di passarselo attorno al collo e al viso, in modo tale che i segni delle cicatrici rimassero impresse sull’impasto! Mentre la figlia Rita, munita di una speciale pialla a raschietto con serbatoio, grattava il ghiaccio, “il padre, con voce stentorea, riprendendo un detto popolare, strillava Grata, grata Poulogna, che belle grate! Caramelle, melle melle”2
Giòta (o Giòla) preparava e vendeva bicchieri di sciroppo in piazza Vittorio Emanuele II (ora piazza della Libertà). Non era particolarmente avvezzo all’igiene: i bicchieri usati venivano lavati sempre con la stessa acqua per tutto il giorno! Antonio Silvani ricorda che Giota era considerato l’inventore “du sciròp ‘d cació”, ossia lo “sciroppo di berretto”.
“Dei bambini, un giorno, stavano giocando a pallone con un vecchio berretto di stoffa vicino al banchetto di Giota, che mescolava i suoi rinfreschi recitando questa cantilena: Lo sciroppo, diamo lo sciroppo! Una pedata più forte delle altre aveva fatto cadere quel vecchio berretto proprio dentro il secchio dello sciroppo e Giola, senza neanche una piega, mescolando nel suo secchio di porcherie: lo sciroppo di berretto, diamo lo sciroppo di berretto!”3
Nel libro A vìgh-ti cùl fumaro?4, Antonio Silvani, delinea, altresì, le figure degli altri due bottegai mandrogni, la cui mercanzia non era certamente sinonimo di qualità.
Pedana, conosciuto anche come Pedònna, aveva un banco dei pesci e di altri articoli alimentari in via San Lorenzo. Non attribuiva molta importanza alla freschezza di cui ciò che vendeva, per cui, quando si voleva definire della merce ormai deteriorata, si diceva che fosse “roba di Pedana”. Un giorno, non potendo più alienare un barile di pesce, giacché palesemente marcio, decise, a malincuore, di gettarlo in Tanaro. Il pesce, una volta trascinato dalla corrente del fiume, sembrava si muovesse ancora. Così Pedana, per smentire la sua nomea, si era messo a urlare dal ponte: “Sono proprio matto, butto in Tanaro i pesci ancora vivi!”. Secondo una variante del racconto, Pedana era stato sorpreso, poco prima di Natale, a rinfrescare un barile di pesce sotto sale nell’acqua gelida del Tanaro per poterlo così rivendere come se fosse ancora fresco.
Infine, Vanoli, di professione rigattiere, aveva un negozio situato all’inizio di via Ghilini. Il locale traboccava di cianfrusaglie di ogni tipo; addirittura in vetrina era esposta un’intera gamba artificiale! Tutt’oggi, quando si vuole definire una persona con la mania di conservare tutto, si dice “at éi ‘cmé Vanòli”(sei come Vanoli). Oltre a essere abbondante e accatastata senza alcun criterio, la sua mercanzia era spesso rotta o tarlata. Pertanto, come era accaduto per il pescivendolo Pedana, l’adagio “ròba crumpaja da Vanòli” (roba comprata da Vanoli) mirava a mettere in risalto merce decisamente scadente.
1 I “lacabòn” sono un dolce tipico della festa di Santa Lucia, che cade il giorno 13 dicembre. Si tratta di bastoncini di caramello induriti, fatti con miele e zucchero, che vengono venduti avvolti in carta oleata bianca nelle bancarelle poste ai due lati della chiesa omonima. L’autore dialettale Sandro Locardi ha dedicato a questo dolce particolare una poesia intitolata Voja ‘d lacabon.
2 Fausto Bima, Galleria dei primi ricordi alessandrini, Edizione Ugo Boccassi e Cesarino Fissore,1997.
3 Antonio Silvani, Va ‘ndonda ch’ut mònda Ratas, I Grafismi Boccassi, collana memoria, n.1/2006.
4 Antonio Silvani, A vìgh-ti cùl fumaro?, I Grafismi Boccassi Editore, 2022