Domenica 10 dicembre alle 17 Enrica Bocchio e Jose Beisso terranno al Museo della Gambarina un recital su Cesare Pavese, cercando di mettere in luce la sua figura dal punto di vista storico, biografico, letterario, musicale e, soprattutto, umano.
La presentazione consisterà in letture tratte dai suoi romanzi, alternati da esecuzioni al pianoforte di brani musicali dell’epoca, scrupolosamente selezionati in base all’anno ed all’argomento della lettura: l’emigrazione, la rivista con le sue canzonette leggere, vagheggiate serenate anni ‘30, la novità dei ritmi sincopati, struggenti canzoni d’amore anni ‘40 e ‘50, la musica americana insinuatasi in Europa nonostante il proibizionismo di regime, i nuovi ritmi liberatori e catartici del dopoguerra.
Sarà presentato un uomo dalla personalità complessa e tormentata, consapevole della propria cultura e sensibilità letteraria ma sopraffatto dal desiderio di autodistruggersi, di annullarsi, di tornare all’origine nella convinzione che, come scrive nella dedica di “La luna e i falò”, arrivati alla maturità, “ripeness is all”, tutto si è esaurito.
Sarà messo in luce il disagio esistenziale di Pavese, che aveva origini molto lontane: l’infanzia difficile per tragiche vicende familiari, l’abbandono dei luoghi più cari ed il trasferimento nella grande città, i problemi di salute (soffriva di asma di origine nervosa), il confino per motivi politici, la grande delusione sentimentale al rientro, con conseguente perdita di autostima: da allora la donna nei suoi romanzi sarà per lo più considerata quasi con livore, con disprezzo; nello stesso tempo però si insinuerà e prenderà sempre più forma una irrimediabile solitudine, una ostinata volontà di colpevolizzarsi. Ogni tentativo di ritrovare o ricomporre un equilibrio tra sesso e sentimento, tra rapporto e abbandono lo condizionerà fino a convincerlo di essere fisicamente impotente. L’idea del suicidio acquista così sempre più fascino.
A questa sua crisi esistenziale, si aggiunge quello che Pavese considera un tradimento politico: il rimorso per il suo mancato coinvolgimento durante la guerra civile; mentre i suoi compagni partecipavano alla Resistenza, lui era sfollato a Serralunga di Crea o nel collegio dei Padri Somaschi a Casale Monferrato sotto falso nome. E quando uscì dall’isolamento e riprese il contatto con la gente per tentare di imparare il “mestiere di vivere”. purtroppo si concluse anche l’ultima avventura sentimentale, che pure lo aveva riappacificato con tutte le donne del passato; prese il sopravvento l’aspetto disarmante del rapporto e, contemporaneamente, anche il desiderio di autodistruzione: si convinse che tutto era inutile, che non aveva più niente da scrivere, che non era adatto alla politica, che “non valeva alla penna, né alle donne”, né agli amici né a se stesso e che la soluzione definitiva alle proprie angosce era una sola.