di Dario B. Caruso
Accade molte volte.
Ascoltiamo discorsi prolissi, apparentemente carichi di parole e in realtà vacui, in assenza di contenuto; o peggio ancora pregni di contenuti slegati e talvolta incompatibili ad una logica comune.
E così diciamo di aver perso il filo del discorso in un discorso che, ahinoi, filo non ha.
Accade.
Immagino un rocchetto di filo.
Il filo – non importa il colore, scegliete quello che vi piace – è avvolto con cura e racconta una storia.
Più il filo è lungo più la storia è ricca di spire e di particolari, di angoli nascosti e anche di tratti consumati.
Fino a quando la tensione è troppo forte, il filo non regge e si spezza.
Qualcuno raccoglie quel rocchetto, riavvolge il filo e ci si ritrova: ascolta la storia, ne rimane rapito e affascinato.
Altre volte il rocchetto cade a terra ma il filo è sottile, inconsistente e frammentato.
Qualcuno lo raccoglie, prova a riavvolgerne il filo raccapezzandosi come può per ricostruire quel rocchetto, va avanti nel lavoro di smatassamento ma non ne viene a capo.
Questa è la storia di una canzone che mette di fronte le due differenti circostanze.
Siamo soltanto noi a doverci chiedere, ogni volta, se quel filo meriti di essere riavvolto oppure non ne valga la pena.
Per questo siamo costretti a conoscere e a comprendere.
Buon ascolto.