di Mauro Remotti
Da qualche tempo, gli studiosi s’interrogano a proposito dell’esistenza o meno di una Zecca ad Alessandria durante il periodo medievale[1].
Infatti, dalla fine del XIII secolo sino 1348, anno d’inizio del governo dei Visconti, in Alessandria circolava il denaro tortonese, moneta menzionata anche nei documenti dell’epoca, insieme, talvolta, a quella pavese.
Il collezionista Egidio Lapenta è tra i sostenitori della presenza di una Zecca ad Alessandria: “In città, fino al principio del secolo XIX, esisteva un edificio denominato Casa della Zecca, avente sulla facciata un piccolo bassorilievo di cm.60X40, rappresentante tre fabbri intenti alla battitura delle monete, secondo l’uso tradizionale. L’edificio era situato ad angolo tra via Vochieri e Piazzetta della lega con l’entrata nell’attuale via dell’Erba; venne demolito nel 1804, per aprire rue Napoleon, l’attuale via Vochieri, appunto sulla piazzetta”[2].
Il ritrovamento del bassorilievo apposto alla Casa della Zecca fu effettuato dalla marchesa Teresa Cuttica di Cassine[3], letterata e amante delle cose antiche, che nel 1767 lo fece spostare nel museo di famiglia. Attualmente del bassorilievo restano soltanto i disegni.
Forse la Zecca di Alessandria non era una Zecca per diritto, bensì una Zecca per abuso, in quanto non si hanno notizie circa un diploma imperiale di concessione del diritto di battere moneta a favore del Comune[4]. Poteva anche trattarsi diuna Zecca precaria, cioè aperta per breve tempo con pochi mezzi a disposizione che utilizzava manodopera avventizia.
Secondo il noto numismatico Domenico Promis, Alessandria batté moneta per ostentazione, ossia per puro sfoggio di ricchezza. Tale tesi è però confutata da Alberto Cunietti-Cunietti, il quale sostiene che possano considerarsi monete di ostentazione soltanto quelle d’oro o d’argento, di grande diametro e coniate in un numero limitato; al contrario, le monete alessandrine avevano un piccolo diametro ed erano abbastanza numerose.
Di certo vennero coniati due diversi tipi di mezzi grossi in argento (probabilmente dopo il 1197). Il primo recava al dritto la scritta FREDERICVS; nel campo I.P.R.T. disposte a croce attorno a globetto centrale con un punto a fianco di ciascuna lettera e al rovescio ALEXANDRIA; nel campo croce patente[5]. Il secondo recava al dritto la dicitura F IMPATOR; in mezzo S.P. e al rovescio ALEXANDRIA; nel campo croce patente. In seguito, (verosimilmente dopo il 1290), fu coniato un imperiale piccolo riportante al dritto S.PETRVS; nel campo busto mitrato del Santo e al rovescio ALEXANDRIA; nel campo croce patente. La dedica a San Pietro deve considerarsi un omaggio al patrono della città a cui era stato dedicato l’antico duomo costruito nel 1170.
La moneta alessandrina circolava forse soltanto localmente ovvero veniva usata per transazioni di poca rilevanza, ma rappresentava comunque un importante simbolo di autonomia da parte della cittadinanza.
[1]Vedi: Lorenzo Bartolucci, Mario Limido, Il denaro imperiale piccolo di Alessandria e la sua zecca, Panorama Numismatico, n.279, dicembre 2012; Alberto Cunietti-Cunietti, La zecca di Alessandria, Rivista italiana di numismatica, 1908.
[2] Egidio Lapenta, La Zecca di Alessandria, Rassegna economica della Provincia di Alessandria, n.3, 1996.
[3] Maria Teresa Eleonora Orsini Cuttica (Rivalta, Torino 1730 circa – Alessandria 1785) sposa nel 1754 il marchese Giuseppe Cuttica di Cassine. E’ stata un’abile miniaturista e pittrice su avorio. Nel suo palazzo ospitava una raccolta “di antichità, monete e medaglie, oltre a una ricca biblioteca”. Vedi Mauro Remotti, Maria Teresa Orsini, La Voce alessandrina, n.1 dell’11 gennaio 2018.
[4] Alcuni studiosi ipotizzano, invece, che sia stato Federico Barbarossa a dare l’autorizzazione a emettere moneta.
[5] “Questa croce vuole indicare l’antico stemma di Alessandria, che era di croce rossa in campo d’argento, quasi volesse denotare di essere stata fondata per sostegno della Chiesa pericolante” (Alberto Cunietti-Cunietti).