Venti ore al Pronto Soccorso dell’Ospedale di Alessandria: vi racconto la mia esperienza

di Graziella Zaccone Languzzi

 

 

Tra il 26 e il 27 aprile sono stata giocoforza “ospite” del Pronto Soccorso dell’Ospedale Civile di Alessandria. In quelle ore ho avuto modo di osservare, ascoltare ciò che mi accadeva intorno e fare mie considerazioni.

Ho la fortuna di avere l’opportunità di dare voce a chi non ce l’ha, e di voci in quelle ore ne ho sentite parecchie. D’accordo che siamo abituati sempre a lamentarci, ma a volte non proprio a torto.

Queste mie osservazioni sono dirette ai ‘pezzi da 90’: decisori politici regionali, direttori generali, direttori sanitari a cui chiederei di passare 24 ore (anche in salute) al Pronto Soccorso, utilizzando per ore quelle brandine color arancio, vestiti di tutto punto scarpe comprese, giacche, borse o zaini da sistemare in quello spazio dove il corpo dolente è steso, osservare per capire ciò di cui davvero necessita il settore sanitario/ospedaliero.

Mentre si parla di un nuovo Ospedale che se va bene vedrà la luce tra venti/trenta anni o forse mai (sono pessimista, lo so, ma è da almeno vent’anni che se ne parla, e se ne parla soltanto) si dovrebbero destinare un po’ di euro al potenziamento dell’attuale struttura, iniziando proprio dal Pronto Soccorso, una vera trincea del nostro sistema sanitario visto che in quel luogo prima o poi ci finiremo tutti.

Vediamo allora. Sono troppo pochi i medici di base a ‘fare da filtro’ per evitare che i pazienti si rivolgano al Pronto Soccorso, e i continui tagli ai posti letto nei reparti fanno sì che i pazienti da ricoverare provenienti dal Pronto Soccorso debbano attendere, occupando barelle per i nuovi ingressi.

Se stai a sentire “Lor Signori” mancano i soldi: ma non è certo colpa solo dei cittadini, che non possono incidere in alcun modo, ma solo sperare di non incappare in personali disavventure.

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Responsabili regionali e Direttori generali non vivono su una “rama” di nespole, sanno benissimo che questa struttura sanitaria è la porta di ingresso dell’Ospedale con funzione di filtro, un Dipartimento d’emergenza e accettazione (DEA) con finalità diagnostico terapeutiche, ed è la garanzia di servizio ai cittadini 24 ore al giorno per 365 giorni l’anno. Di lì passa un’infinita varietà umana, variamente sofferente, quindi dovrebbe avere una precedenza di interesse.

Passiamo alla mia esperienza: ho avuto un problema improvviso di salute, il mio ottimo medico di base, Dottor Altin Jaupi, alla telefonata di mia figlia è subito accorso al mio domicilio fornendomi tutta l’assistenza e le cure che ha potuto, ma il problema aveva necessità di una indagine approfondita, quindi con una relazione preparata dal medico mi sono recata al Pronto Soccorso. Mi sono messa in coda e quando è arrivato il mio turno al Triage dopo la valutazione dell’infermiere triagista mi è stato assegnato Codice Arancione.

Sistemata in barella sono stata posizionata in zona Box medici. Tra ingressi, dimissioni e ricoveri ai reparti in attesa di un posto letto si contava la presenza di oltre una cinquantina di pazienti. Non pochi direi per il personale medico ed infermieristico presente quel giorno al nostro Pronto Soccorso cittadino.

Pazienti in attesa della visita, chi già parcheggiato in attesa di risultati, un via vai di ambulanze con situazioni gravissime, medici ed infermieri come in una catena di montaggio. Avete presente il film “Tempi Moderni” interpretato da Charlie Chaplin? Molto simile. Chiaro è che l’affollamento provoca lunghe attese per chi ha un codice sotto il rosso e l’arancio, come conseguenza provoca lamentele del malato in barella e dei parenti in attesa di risposte, e a pagarne le conseguenze sono i pochi medici e infermieri in turno, che devono ascoltare tutti e dare risposte.

In questa “catena di montaggio” medici e infermieri con urgenza devono prendere decisioni veloci e immediate, ci sono corpi da esaminare, organi da riparare, ferite da ricucire, esami da interpretare, il Pronto Soccorso è il luogo dove si salvano le vite nel giro di minuti o secondi, Ma pochi ci fanno caso.

Tornando a me, non ho dovuto attendere molto e mi è toccato il box n.1.

A ricevermi il Dott. Victor Malatesti, un medico sicuramente un po’ psicologo per il corposo bagaglio in medicina di urgenza ed emergenza, che mi ha messo a mio agio sfoderando un sorriso e tanta umanità, mi ha aiutata a sciogliere la tensione, la paura, e per un paziente è una buona partenza. Analisi varie e una terapia da fare nelle ore a seguire, sempre all’interno del Pronto Soccorso.

Nella mia posizione, attaccata ad una flebo, non potevo fare altro che osservare l’umanità attorno a me, e le ore non passavano mai. Arrivata la notte e dopo ore su quella barella mi sono chiesta se il fornitore di quelle barelle al Pronto Soccorso è lo stesso che ha fornito i banchi scolastici a rotelle. Visto che ci si deve passare sopra tante ore, perlomeno che non provochino dolori cervicali, lombari, sacrali, gambe intorpidite. Ho notato che altri si sono lamentati, col risultato di una notte in bianco.

Durante la notte due infermieri, tra il lavoro nei box al fianco dei medici, uno ad uno ci hanno controllato pressione e saturazione, portato via padelle, aiutando ad andare in bagno i pazienti che erano in grado di camminare. Sempre durante la notte il passaggio di un poliziotto a garantire sicurezza.

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Finalmente l’alba. La schiena dolorante mi ha portato a chiedere ad un’infermiera se era possibile potermi spostare su una poltrona a rotelle, altri due hanno chiesto la stessa cosa, l’infermiera veloce come un “furetto” è riuscita a raccattare tre poltrone e a spostarci, ringraziandoci di aver liberato tre barelle: ed è tutto detto.

Intanto eravamo sempre oltre cinquanta pazienti, di cui alcuni sempre in attesa di un letto nei reparti. In quel momento, due file perfette parallele di barelle oltre a quelle in facciata per tutto il corridoio di fronte ai box dei medici, con poltrone a rotelle di contorno. Pareva l’autostrada intasata dalle auto dai due lati.  Un’infermiera di altro settore di passaggio ha esclamato: “qui ci vorrebbero letti a castello”.

Alle ore otto del mattino e oltre cambio turno del personale sanitario, altro giro altra giostra. Verso fine mattinata ulteriore controllo sulla mia persona e le dimissioni, con le indicazioni utili al mio medico per analisi, da parte del Dott. Malatesti sempre gentile e sorridente, noncurante delle ore ‘pesanti’ che gli si prospettavano ancora davanti.

Qui si conclude la mia esperienza. Quanto scritto dovrebbe far pensare chi dispone e decide in ambito sanitario, la politica e i burocrati in primis. Succederà?