Alessandria chiama Detroit: siamo il paradigma del fallimento? [Controvento]

Alessandria fallimentodi Ettore Grassano.

Alzi la mano (anzi, mandi un commento al post) chi di voi, nei giorni scorsi, leggendo del fallimento della città di Detroit, non ha per associazione di idee pensato ad Alessandria. In realtà, ho visto in rete che anche i torinesi si sono sbizzarriti in un parallelo altrettanto interessante, a casa loro. Però è un fatto che, ad esempio, anche l’analisi sulle pagine nazionali del quotidiano La Stampa cominciava con un “Il caso eclatante e di scuola è quello di Alessandria: città in pieno dissesto”.

Alè: dopo Gianni Rivera e Umberto Eco, simboli un po’ d’antan (come del resto il cappello Borsalino), ci mancava un elemento che ci indentificasse a livello nazionale. E il dissesto/fallimento è ormai una nostra seconda pelle: effetto boomerang anche di certe ‘piazzate’ televisive, che piaccia o no. Certo, l’analisi de La Stampa evidenzia poi che, mal comune mezzo gaudio, “sono circa una quarantina i Comuni che si trovano nella stessa condizione di Detroit, ma secondo un rapporto della Corte dei Conti del 2012, negli ultimi vent’anni i Comuni italiani finiti a gambe all’aria sono stati 460”.

Peraltro a gambe all’aria non significa falliti (e risanati davvero) all’americana, ma
un dissesto pilotato in cui paga sempre Pantalone, ossia noi cittadini.

Dice ancora La Stampa, dando anche voce ad una docente universitaria, Lidia D’Alessio, del dipartimento di Economia dell’Università Roma Tre: “Una volta ammessa la bancarotta, tuttavia, la palla passa al ministero dell’Interno che, attraverso le prefetture, manda un commissario (????), cioè il «castigamatti» che comincia a fare le pulci al bilancio e parte con il risanamento. La prima mossa è la vendita del patrimonio (????), dopo di che vengono alzate tutte le aliquote. Ma se tutto questo non basta allora si procede prima alla revisione della pianta organica con una riduzione del personale e la messa in mobilità del resto (????), poi si accende un mutuo a carico del Comune presso la Cassa depositi e prestiti (????). Il Comune, in questo modo, viene riportato «in bonis» in un tempo non superiore ai 5 anni”.

I punti interrogativi li abbiamo aggiunti noi, non a caso. Nel senso che non ci pare che i passaggi segnalati siano al momento stati percorsi ad Alessandria. Vedremo.

Ma, a proposito di dissesto di un territorio, e non solo di un ente, c‘è un’altra notizia che è passata un po’ sotto traccia (alla conferenza stampa eravamo in due!), ma sulla quale sarà forse il caso di tenere accesa, se non un riflettore, almeno una prudente lampadina.

Secondo il movimento per il Partito del Lavoro (ossia Rifondazione Comunista che cerca diMichelin Spinetta cambiare pelle, e di riaggregare in un progetto comune la sinistra dispersa, da Sel ai Comunisti italiani a tanti altri rivoli. Auguri), sulle strategie industriali e occupazionali della Michelin, multinazionale che non ha bisogno di troppe presentazioni, ci sarebbero per i prossimi mesi, e anni, tanti punti interrogativi.

Si parla di drastiche riduzioni e chiusure di stabilimenti persino in Francia: e delocalizzazioni già avvenute in Asia. Ci vuol poco a capire che, in un simile contesto, è ben difficile che per i francesi gli stabilimenti italiani siano una priorità da salvaguadare. E, se Torino è già poca cosa, mentre Cuneo è sinonimo di eccellenza e ingenti investimenti anche recenti, su Spinetta ci sono incognite grosse come lo stabilimento stesso. Che all’avanguardia lo fu negli anni Settanta, e che ha già visto la ‘migrazione’ nella “provincia Granda” del reparto mescole. I volontari del Partito del Lavoro mettono le mani avanti, e scelgono la strada del volantinaggio. Altri, ci risulta, tacciono ma da tempo trattano sottobanco per cercare di scongiurare decisioni drastiche, che per un territorio come il nostro significherebbero dramma sociale (a Spinetta lavorano, tra dipendenti diretti e indiretti, non meno di 1.500 persone). Altri ancora sul fronte politico, da Alessandria e Torino, pare siano totalmente impegnati a contemplarsi l’ombelico e a salvare la pelle, e di tempo per guardare fuori dai rispettivi palazzi ne trovano pochino.

Attenzione però: il mondo del lavoro, non ci stancheremo di dirlo, non è solo parastato. E se dovessero saltare certe realtà (che certo hanno pure i loro difetti, e procedimenti in corso sul fronte giudiziario: sono migliorabili insomma), apriti cielo!

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