di Enrico Sozzetti
Un’azienda gestita «con lo spirito di una band musicale». Succede a Cassano Spinola, dove La Castagnola è un esempio di innovazione capace di coniugare la tradizione più rigorosa e l’accoglienza con l’arte, l’intrattenimento, la diversificazione, ma sempre senza cedere alle imposizioni del mercato. E pensare che il marchio identificativo è una data: 1874.
È l’anno in cui la famiglia Piccardo diventa proprietaria del complesso che sorge sulla prima collina fra Cassano Spinola e Villalvernia ed è composto da una tenuta, circa quaranta ettari di terreno e una cascina (l’edificio storico risale al 1600) che conserva ancora all’interno mobili dell’Ottocento e una atmosfera davvero di altri tempi. All’interno di un’ala è stato ricavato l’agriturismo con alcune stanze.
L’azienda è guidata da Stefano Piccardo che ha saputo capitalizzare in modo originale le due passioni della vita: la musica, è chitarrista del gruppo Od Fulmine (formazione di rock d’autore), e il marketing (ha lavorato in questo settore per anni a Milano). La Castagnola oggi è un allevamento con mucche di razze autoctone, agriturismo, fattoria didattica, apicoltura, orto e, ultima novità, è arrivata anche la produzione di salami che si attesta sui dodici quintali. E su questa collina non manca il mondo Wwoof. L’azienda fa infatti parte della sezione italiana della federazione internazionale del movimento Wwoof, nato in Inghilterra negli anni Settanta del secolo scorso dall’idea di Sue Coppard che ha dato il via ai primi soggiorni nelle fattorie biologiche in cambio di aiuto. Lo scopo è «sostenere, divulgare e condividere la quotidianità in campagna secondo i principi dell’agricoltura biologica». Wwoof Italia è nata nel 1999 e ha dato vita a una rete nazionale di realtà agricole di diverse dimensioni.
Il piatto forte della Castagnola è la carne. Stefano Piccardo racconta come la decisione di puntare sull’allevamento sia arrivata un po’ per garantire la sostenibilità economica, un po’ per il desiderio di proseguire in una attività ispirata ai principi della salubrità e del rispetto della natura e dell’ambiente, il tutto mescolato con lo spirito del creativo. «Mentre cercavo di mettere a fuoco un po’ tutto questo mi è capitato, durante un viaggio in Svezia, di approfondire i dettagli dell’allevamento di mucche alimentate solo con erba. Posso dire che è stata la classica miccia che ha innescato tutto il resto. La riflessione di fondo è stata questa: un animale cresciuto e alimentato correttamente e in modo naturale garantisce una carne sana che, nella giusta quantità, fa solo bene. È quello che accadeva in Italia fino alla seconda guerra mondiale. In ogni zona del paese si sapeva come si mangiava, come erano curati gli animali e come si prepara la carne. Non esisteva l’industria della carne, non veniva praticata alcuna selezione genetica artificiale, non c’erano allevamenti intensivi».
Ma per Stefano Piccardo, origini genovesi, radici alessandrine, esperienze milanesi, questo non è stato il passo decisivo. Si era chiarito le idee, certo, ma come fare? Lo strumento è stato quello della memoria dei più anziani della zona. Grazie a loro ha riportato alla luce tecniche e metodi che poi ha replicato in azienda. Mantenendo però un punto fermo: il rispetto fino in fondo della tradizione. Ecco perché ha puntato su razze autoctone che non interessano più alla grande industria, quelle che non hanno più mercato e che stanno quasi per scomparire. «Abbiamo scelto la pezzata rossa d’Oropa e la blu belga che abbiamo allevato per qualche anno, prima di assestare l’azienda. Quindi è arrivata la decisione di mettere un limite al numero di capi, al massimo sessanta, per garantire una crescita naturale degli animali e ha preso corpo, d’intesa con la famiglia, il progetto “Carne 1874 – La carne come una volta”. L’obiettivo è stato ridurre al minimo gli sprechi e valorizzare al massimo la qualità nutrizionale». In sostanza, mangiare meno carne, ma di altissima qualità. «Il limite alla produzione – spiega – lo abbiamo messo proprio perché vogliamo coprire solo il fabbisogno del ristorante, mentre per i piatti utilizziamo i prodotti dell’orto o di piccole aziende locali, sempre naturali e biologiche (la cucina della Castagnola produce anche marmellate, sciroppi e sughi con antiche ricette)».
Il marchio “1874” contraddistingue la carne, gli agnolotti e i salami. Che sono l’altra novità. Anche in questo caso l’obiettivo è preservare e continuare la tradizione della produzione di salami che appartiene all’area del tortonese. Tutto accade nel 2017 dopo che un piccolo produttore artigianale di Garbagna, parlando con Stefano Piccardo, ha detto che ormai, rimasto solo, non aveva più voglia di continuare e avrebbe cessato l’attività. «Ci abbiamo pensato un po’, ma non troppo, e poi ci siamo rivisti con il risultato che abbiamo rilevato l’azienda e continuato la produzione» con i primi dodici quintali di salame ad alto livello di artigianalità lavorati a Garbagna e successivamente stagionati alla Castagnola.
Parallelamente all’allevamento si è sviluppato il progetto dell’accoglienza. «La nostra famiglia ha nel dna l’accoglienza e dare da mangiare è una cosa bella se fatta bene» dice Stefano Piccardo. Una ospitalità che si è tradotta nella tipica accoglienza per un agriturismo (non mancano i matrimoni, le feste per le lauree, i battesimi e i compleanni), ma con una serie di piccole varianti (per esempio, gli ospiti possono raccogliere la frutta o tagliare la legna nel bosco) in cui per ultima, in ordine di tempo, è arrivata anche la fattoria didattica. La «quotidianità in campagna secondo i principi dell’agricoltura biologica» è infatti anche uno dei capisaldi del movimento Wwoof.
Qual è l’identikit dell’ospite della Castagnola? «Liberi professionisti, direttori creativi, registi, ma innanzitutto persone che cercano un determinato modello di agriturismo e di ritorno all’ambiente e alle tradizioni. Ai nostri clienti piace l’ambiente rustico e lo spirito culturale che anima molti degli eventi che organizziamo, dagli spettacoli teatrali ai concerti».
Il modello di accoglienza proposto alla Castagnola non è fatto per piacere a tutti, non è costruito per un mercato. Certamente può dividere in modo netto le valutazioni, o piace oppure non piace. Però va apprezzata la coerenza fra le idee e la realizzazione. E anche la creazione della piccola rete locale con altri produttori, segno della reale possibilità di creare microcircuiti virtuosi per realtà dove il biologico non si ferma al prodotto, ma vuole essere un modello di accoglienza e di vita.
Foto di Carlotta Coppo