Dulce et decorum est pro patria mori [Lettera 32]

di Beppe Giuliano

 

Il canottaggio, come abbiamo già visto, ha dato alla mattanza della Grande Guerra il più grande atleta italiano dell’epoca, il comasco Giuseppe Sinigaglia.

Grande canottiere era pure Frederick Septimus Kelly, D.Sc., personaggio fantastico che ci permette di collegare lo sport nella Prima Guerra Mondiale a un altro elemento che la contraddistinse, cioè le arti (e i volontari, che con iniziale entusiasmo furono tanti sia tra gli atleti che tra gli artisti).

Britannico nato in Australia, tra le file di Oxford nelle mitiche sfide con Cambridge, tre volte vincitore nel 1902, ‘03 e ‘05 della Diamond Challenge Sculls, la stessa vinta da Giuseppe Sinigaglia nel 1914, campione olimpico con l’otto a Londra nel 1908, pianista provetto, suonò con Pablo Casals e organizzò il concerto londinese di Maurice Ravel. Scampò a Gallipoli (ma non alle trincee della Somme) dove compose nel 1915 “In Memoriam Rupert Brooke”, un’elegia per archi.

Come Kelly e altri artisti, Rupert Brooke faceva parte del cosiddetto “Latin Club”, un gruppo di entusiasti che, come successe in tutta Europa, corse ad arruolarsi affascinato da una guerra che si rivelò ben presto tutt’altro che eroica. Il giovane uomo più bello d’Inghilterra, nella descrizione di W. B. Yeats, morì non così eroicamente per un’infezione conseguente a una puntura di zanzara al largo dell’isola di Sciro, prima ancora di arrivare a Gallipoli.

Aveva celebrato l’avvento della guerra con questi versi:

Che sia ringraziato Iddio che ci ha assegnato quest’ora, / ha affermato la nostra giovinezza e ci ha svegliati dal sonno.

*****

Davvero tanti poeti combatterono (e caddero) lasciandoci poemi tra i più importanti del ventesimo secolo, da noi il primo nome che viene alla memoria di tutti è quello di Giuseppe Ungaretti (che per fortuna sopravvisse alle battaglie).

Un medico canadese, che morì di polmonite nell’inverno del ‘18, durante la seconda battaglia di Ypres, nel 1915 scrisse “In Flanders Fields” (“Nei campi di Fiandra”):

Sui campi delle Fiandre spuntano i papaveri / tra le croci, fila dopo fila, / che ci segnano il posto; e nel cielo / le allodole, cantando ancora con coraggio, / volano appena udite tra i cannoni, sotto. / Noi siamo i Morti…

Ancora oggi molte delle cerimonie del Remembrance Day, attorno all’11 novembre di ogni anno, prevedono la lettura della poesia che è poi diventata il motivo per cui vengono indossati per commemorare i caduti i papaveri (poppies in inglese) rossi, anche sulle divise delle squadre della Premier League, non senza qualche polemica. Per esempio il nordirlandese James McClean che si rifiutò di indossarlo, lui di Creggan quartiere popolare di Derry, per rispetto ai suoi concittadini vittime (dell’esercito inglese) nel famigerato Bloody Sunday. O più di recente Nemanja Matić, il cui villaggio di Vrelo fu bombardato dalla Nato nel 1999, nell’attacco all’ex-Jugoslavia.

*****

La poesia più famosa (che ha anche dato il titolo a questa serie di racconti) l’ha invece scritta Wilfred Owen, che morì il 4 novembre del 1918, quando la guerra stava ormai per finire (sua madre ricevette il telegramma che la informava il giorno dell’armistizio).

Un anno prima, già ferito sulla Somme, al Craiglockhart War Hospital di Edimburgo fece un incontro che cambiò la sua vita: Siegfried Sassoon, lui pure poeta, era stato soprannominato dai suoi uomini Mad Jack per le imprese che sfioravano il suicidio. Man mano che sprofondava nella depressione per l’orrore e la miseria che i soldati dovevano affrontare, infatti, paradossalmente sviluppava un folle coraggio e venne perciò pure decorato per eroismo. Nel 1917 decise di compiere una pubblica denuncia contro la guerra. Alla fine di un periodo di convalescenza rifiutò di tornare al fronte e anzi, incoraggiato da alcuni amici pacifisti tra cui Bertrand Russell, scrisse una lettera intitolata A Soldier’s Declaration (La dichiarazione di un soldato) al suo superiore. La lettera fu poi trasmessa alla stampa e perfino letta in Parlamento. Invece di processarlo, le autorità militari preferirono dichiarare Sassoon inabile alla leva, ricoverandolo in un ospedale militare di Edimburgo (proprio il Craiglockhart War Hospital) con la diagnosi di nevrastenia.

Qui l’incontro tra i due contribuì alla nascita della poesia di Wilfred Owen che smascherò definitivamente la menzogna della frase di Orazio sul “dolce e dignitoso morire per la patria”:

Se in un sogno asfissiante anche tu potessi marciare / Dietro al vagone dove lo abbiamo buttato, / Guardando gli occhi bianchi dimenarsi nel volto, / il volto penzolante di un diavolo schifato dal vizio; / Se potessi sentire, a ogni sobbalzo, il suo sangue / Gorgogliare nei polmoni corrosi di schiuma, / Osceno come un cancro, amaro come il bolo / Di piaghe incurabili sulle lingue innocenti,… / Amico mio, tu non ripeteresti con tanto fervore / Ai figli assetati di disperata gloria, / La vecchia menzogna: Dulce et decorum est / Pro patria mori.

Le altri parti:

https://mag.corriereal.info/wordpress/2018/11/19/dulce-et-decorum-est-lettera-32/

https://mag.corriereal.info/wordpress/2018/11/26/dulce-et-decorum-est-2-lettera-32/

https://mag.corriereal.info/wordpress/2019/01/14/dulce-et-decorum-est-3-lettera-32/

https://mag.corriereal.info/wordpress/2019/01/21/dulce-et-decorum-est-lettera-32-2/