Puccini e l’oggi [Il Flessibile]

di Dario B. Caruso

Fra pochi giorni il mondo celebrerà la figura di una grande personalità della musica.
Giacomo Puccini morì il 29 novembre del 1924 e tutti i teatri d’opera non avrebbero potuto non cogliere l’occasione del centenario per allestire un suo lavoro o quantomeno ospitarne una produzione, con grande risonanza e successo.

La scorsa primavera ho assistito alla Madama Butterfly nell’allestimento del Teatro Carlo Felice di Genova.
Spettacolo iconico, struggente, malinconico, lontano nel tempo e nello spazio.
Eppure molti caratteri risuonano di modernità.
Con me, a teatro, erano presenti un gruppo di studenti tredicenni.
Il rischio in questi casi è che l’opera lirica – distante anni luce dal loro piccolo vissuto e dal loro immaginario preadolescenziale – sia qualcosa da conoscere più o meno forzatamente e poi da accantonare.
Rischio che ho visto palesarsi negli occhi di decine, forse centinaia di giovanissimi che rientravano da una trasferta simile; scendendo dal pullman potevi scorgere nei loro sguardi un gigantesco punto di domanda.
È normale, per una piccola testolina; come può pensare alle lotte fratricide, alle guerre, alle gelosie, all’amore romantico, alle rivoluzioni?
I ragazzi non sono così sciapi e inetti, quantomeno non tutti.
Chi non li conosce li stereotipizza, ne banalizza la sensibilità, ne sottovaluta la forza interiore. E quindi nel frangente specifico, Puccini ha colpito duramente lasciando un segno.

Giacomo Puccini nella Butterfly racconta una storia globale: terre e culture agli antipodi che si toccano per poi allontanarsi definitivamente.
Non è attuale, questo sunto?
Non è una sinossi concisa ma completa?
Centovent’anni prima di oggi Puccini narra il paradosso della globalizzazione: tutto il mondo così inutilmente vicino e subito dopo così drammaticamente separato.
Riviviamo gli anni Venti senza rendercene conto.
E senza renderci conto che il bivio è ancora possibile.