di Enrico Sozzetti
La Centrale del latte di Alessandria e Asti è arrivata al capolinea: «Preso atto della mancanza di proposte formali vincolanti per l’acquisizione dell’azienda, il consiglio di amministrazione ha deliberato l’interruzione dell’attività compatibilmente con gli impegni commerciali presi e con lo smaltimento delle scorte di prodotti a magazzino, non sussistendo più i presupposti per la continuità aziendale». La nota del Cda si conclude così: «La scelta della procedura è stata quella che più ha tutelato la ricerca della salvaguardia dei posti di lavoro e la continuità aziendale. In attesa della definizione dello scenario puntuale, il Cda introdurrà tutte le azioni necessarie nell’interesse di dipendenti e azienda». La crisi e adesso la messa in liquidazione non arrivano però all’improvviso. L’alto prezzo che rischiano di pagare i quarantotto dipendenti e l’intera filiera del latte è il risultato di anni di scelte (e non scelte) che hanno puntato a privilegiare una visione industriale locale, che purtroppo non era però in grado di stare sul mercato. E il post pandemia ha peggiorato la situazione. I comportamenti dei consumatori sono cambiati, bar e ristorazione hanno subito profondi stravolgimenti, i costi della catena logistica interna sono lievitati. Se la Centrale ha rilevato prima quella di Viareggio e poi quella di Savona arrivando a chiudere ancora un bilancio positivo nel 2018, dopo è stato un progressivo tracollo.
Avere toccato anche i venticinque milioni di euro di fatturato non ha voluto dire molto perché i margini economici e finanziari estremamente ridotti a causa dell’inflazione e della diminuzione delle vendite. Mentre il mercato del latte fresco è in costante difficoltà, cresce quello della lunga conservazione. Farsi trovare attrezzati e competitivi è stato sempre molto difficile e l’ultimo investimento per cercare di conquistare qualche fetta di mercato ed entrare nella grande distribuzione, anche con una posizione marginale, quello dell’impianto di microfiltrazione dalla capacità produttiva di tre milioni di litri l’anno non è stato sufficiente. È entrato a regime troppo tardi a causa di ripetute difficoltà tecniche.
A febbraio è poi saltato l’aumento di capitale. Nessuno dei soci ha infatti aderito alla proposta dell’assemblea: due milioni di euro per salvare l’azienda. Si è aperta così la procedura di composizione negoziata della crisi con l’obiettivo di cercare un partner strategico che potesse entrare nell’azionariato per il rilancio della Centrale del latte di Alessandria e Asti. Così l’ultimo nulla di fatto sembra destinato a chiudere per sempre la storia del latte alessandrino.
Ma sullo sfondo resta la decisione della politica alessandrina di contrastare la proposta d’acquisto avanzata ormai alcuni anni fa da parte della Centrale del Latte d’Italia. L’amministrazione comunale, pur detenendo una quota allora del dieci per cento del capitale (poi scesa a 6,9 per cento) ha di fatto imposto una scelta operativa nel nome della preservazione della alessandrinità dell’azienda. Un’alessandrinità che ha subito cozzato contro il mercato, l’economia, la pandemia. L’impossibilità di fare economie di scala, di ridurre i costi della logistica, la frammentazione dei punti vendita serviti (molti negozi al dettaglio, poca grande distribuzione), il cambio delle abitudini dei consumatori ha gradatamente sgretolato una tradizione industriale che è stata di prim’ordine, come la qualità stessa del prodotto.
I numeri raccontano tutto: la Centrale del Latte di Alessandria e Asti “raccoglie, lavora e commercializza quasi 15 milioni di litri di latte all’anno” si legge sul sito. Il gruppo Centrale del Latte d’Italia Spa (in cui è entrata anche la Centrale del latte di Torino) è il terzo polo italiano nel settore latte e derivati (è presente in Piemonte, Lombardia, Liguria, Emilia Romagna, Veneto, Toscana e Campania), lavora 210 milioni di litri di latte all’anno, impiega 620 persone, serve 4200 punti vendita della grande distribuzione e 16536 punti vendita normal trade (prevalentemente al dettaglio). La società, quotata al segmento Star di Borsa Italiana, ha registrato nel 2023 un fatturato di 169,8 milioni di euro, con un incremento del 17,1 per cento rispetto ai 145 milioni del 2022.