di Mauro Remotti
Dopo aver illustrato nei due articoli precedenti (vedi CorriereAL del 7 giugno e 18 luglio 2023) le caratteristiche di alcuni noti personaggi folcloristici alessandrini (Cichinisio, Pagnufli, Garabuja, Patireti e l’avvocato Tronconi), proseguiamo a ricordare le note distintive di altre macchiette mandrogne, forse un po’ meno conosciute.
Una di queste era Babaléa, una via di mezzo tra un accattone e un artista di strada. Il soprannome gli era stato appioppato per via di un ignoto ritornello che intervallava tra un motivetto e l’altro. Aveva l’abitudine di entrare nei cortili iniziando a cantilenare i titoli maggiormente in voga – lo chiamavano pure “Banana” per via della canzone Banana Boat Song di Harry Belafonte – finché qualcuno non gli gettava una moneta.
Antonio Silvani1ricorda uno scherzo feroce che un suo amico fece ai danni di Babaléa per toglierselo di torno. Un giorno, al termine della sua consueta performance canora, gli lanciò dal balcone una moneta da 100 lire arroventata sul gas. Il povero Babaléa appena l’ebbe afferrata cacciò un urlo terribile, e non si fece più vedere in quel cortile!
Anche Celeste suonava nei cortili di uno dei rioni più popolari di Alessandria, el cantón di rus2, intorno agli anni Cinquanta/Sessanta del secolo scorso. Talvolta gli venivano affidate piccole commissioni.
Se Babaléa e Celeste erano realmente poveri diavoli che sbarcavano il lunario grazie a canzonette e piccoli lavori, al contrario, Vitali e Fortunato si mostravano indigenti ma non lo erano affatto.
Vitali, detto per la sua tirchieria “U tarangon”, abitava in corso Roma nel palazzo che per diversi anni ospitò la pasticceria Pasquali.
Nonostante fosse benestante, possedeva, infatti, l’intero stabile, si comportava come un barbone. Al fine di accumulare sempre più soldi, aveva dato in locazione anche il suo alloggio, riducendosi a vivere in una “baracchetta” in mezzo al cortile.
Per mangiare a scrocco, si era inventato un trucco: girava per i negozi di generi alimentari con un gattino in braccio in modo tale da intenerire i commercianti e farsi così regalare piccole cibarie!
Fortunato (conosciuto altresì come “il generale”) stazionava presso la porta carraia della Caserma Valfrè dove andava a elemosinare una gavetta per sfamarsi. Era gentile: spesso fermava le automobili per far attraversare la strada ai pedoni in corso Teresio Borsalino. Se all’apparenza sembrava un vagabondo come tanti altri, in realtà era un uomo ricco. Secondo alcuni, possedeva fino a trenta appartamenti. Abitava in un alloggio in via Galileo Galilei, al quartiere Pista, dove aveva appeso a una parete una gigantografia di Benito Mussolini. Qualche suo ospite ricorda anche di avere visto centinaia di biglietti da 10.000 lire messi ad asciugare sui fili da stendere! Pare che la moglie di Fortunato fosse altrettanto avida, e alla morte del marito si trovò ad amministrare una vera fortuna.
Infine, alcuni alessandrini ricordano anche le figure di Buca, un soggetto pressoché muto con la bocca deformata a causa probabilmente di una ferita riportata durante la Prima Guerra mondiale, e di Zuradio (ossia, spergiuro): una perfida guardia campestre, trovato morto, probabilmente ucciso per vendetta, sull’isolotto Galateri nei primi anni del Novecento.
1 Antonio Silvani, A vìgh-ti cùl fumaro?, I Grafismi Boccassi Editore, 2022.
2 Secondo Carlo Gilardenghi; “è stato sempre difficile disegnarne i confini. Indubbiamente via Mazzini e via Verona, le due strade parallele a via dei Guasco, lo delimitano a destra e a manca; ma ne facevano anche parte integrante? Questo il quesito. Via Padova e via Brescia pur vantando alcuni punti di riferimento imprescindibili per la gente del rione, le osterie del Camèn (il Camino) e dla Cruz Verda, si trovavano a tutti gli effetti fuori porta. Anche le vie Pastrengo Bologna Ferrufini e le dirimpettaie vicolo Pila Santa Maria di Castello Sant’Ubaldo innestate su via dei Guasco come costole sulla colonna vertebrale, si potevano a stretto rigore considerare Canton di rus? Bel problema”.