Risolvere un problema [Il Flessibile]

di Dario B. Caruso

Siamo circondati?
Non lo so, di preciso.
Io però mi sento circondato.
Non so se i lettori abbiano la mia stessa sensazione. È una sensazione molto strana che rende le giornate talvolta disagevoli talaltra faticose ma mai monotone.
L’unica monotonia è dettata dal ritmo delle parole intorno.
Ecco il motivo per il quale mi sento circondato.

Ogni mattina in auto percorro i sette chilometri che dividono casa da scuola e nel tragitto ho l’abitudine di ascoltare il giornale radio.
I dieci minuti di notizie sono (in percentuale e grosso modo) suddivisi così:
30% cronaca, politica estera e interna
20% spettacolo
45% calcio
5% altri sport

Le medesime proporzioni possono riferirsi anche ai telegiornali della sera.
Se avete tempo da perdere, giocate.
Provate a giocare come ho fatto io.
Ascoltate nell’ordine che preferite:
un politico mainstream
un presentatore di fama
un allenatore di calcio
un giornalista gettonato
un generale dell’esercito

Estrapolate gli slogan di ciascuno, shakerateli e riattribuiteli a costoro ma a caso.
Il risultato è stupefacente.
Il generale parla come il politico o come l’allenatore.
Il presentatore appare come giornalista o come politico.
Il giornalista potrebbe allenare o guidare un esercito.
Le parole sono sempre quelle, possono essere melliflue e suadenti in certe occasioni, in altri frangenti incitano alla critica e al dissenso, non di rado invitano all’odio.

Come possiamo, noi semplici cittadini, essere scevri dal mugugno quando le parole creano il problema anziché risolverlo?
Come facciamo a riconoscere il ruolo di un calciatore e distinguerlo da quello di un opinionista?
Vale per l’informazione la proprietà commutativa dell’addizione? e comunque non esistono più pere, mele e banane perché tutto sta nel calderone?

Nella serie televisiva The Newsroom (2012) uno strepitoso Jeff Daniels, nei panni di un presentatore di una rete televisiva, risponde ad una studentessa e disserta su quale sia il ruolo odierno degli Stati Uniti.
Incomincia un’invettiva che estendo senza difficoltà ad ogni Paese moderno, anche all’Italia.

C’è stato un tempo in cui combattevamo la povertà, non i poveri.
Puntavamo sempre in alto.
Agivamo da uomini.
Non ci identificavamo con chi avevamo votato.
Tutto questo è stato possibile perché eravamo ben informati, da grandi uomini, uomini rispettati.
Ma per risolvere un problema si deve riconoscere che ce n’è uno.

Riconoscere il problema.
Ribadisco che mi sento circondato, non so se questa sensazione mi autorizza a pensare di aver riconosciuto il problema.
Certamente non riuscirò a risolverlo da me.
E voi?