La morte ti cambia la vita [Il Superstite 521]

ATO6: "Crisi idrica, i cittadini siano più parsimoniosi con l'acqua" CorriereAl 1

di Danilo Arona

L’influenza del cinema di Dario Argento, soprattutto i film del primo periodo “giallo”,  sugli scrittori nostrani è forse un capitolo ancora tutto da scrivere nel ristretto campo della saggistica di genere. Lasciando la suggestione nell’aria a disposizione dei meno distratti, vengo all’ultima fatica dell’amica Marina Crescenti uscita per i tipi di Laurana Editore, La morte ti cambia la vita, che non solo è una dichiarazione di intenti e quasi un minisaggio nel suo genere, si impone per ritmo, trovate e suggestioni appunto filmiche che strizzano l’occhio a quella corrente cinematografica made in Italy, malgrado tutto ancora una delle nostre risorse in grado di fare scuola.

Marina, dopo l’ingresso “poliziottesco” degli inizi – è nota la sua passione per l’attore Luc Merenda che di quel genere resta ancora un simbolo  – con le storie del commissario Narducci e un paio di digressioni assai splatter ma sempre in ambito con le trucide imprese dello spietatissimo Branco, torna sulla scena con un thriller di quelli che, una volta iniziati, non abbandoni neppure per cenare. Intanto non è un caso che la storia si ambienti nel 1979, non so se per nostalgia (io ce l’avrei…) o per precisa scelta significante. Gli anni settanta che finivano vedevano il cinema thriller all’italiana avviarsi verso una prematura decadenza che a parere mio non aveva ancora ragione di essere. Di certo in ogni caso una stagione stava per finire o, se vogliamo, per trasformarsi e guarda caso il 1979 è pure l’anno di due gialli post-argentiani, Solamente nero di Antonio Bido e Nero Veneziano di Ugo Liberatore, ambientati entrambi in laguna, come parzialmente lo è il romanzo di Marina.

Io che sostengo che nulla accade o si pensa per caso sono sul serio tentato ad affermare che il ’79 è una stupenda scelta di riferimento temporale come anno di rimando. Marina infatti scrive in senso profilmico e leggere da parte mia La morte ti cambia la vita mi fa tornare in certe sale cinematografiche, piene di gene, di quel periodo quando un ipotetico giallo ambientato tra la riviera ligure e Venezia, alla pari misteriose soprattutto d’inverno, me lo sarei sparato con grande gusto alla domenica pomeriggio per poi virare alla sera sull’ultimo Cronenberg di allora, The Brood, o sull’elegante Dracula di John Badham…

Lasciando in angolo nefande nostalgie, vengo senza spoiler a segnalare qualche elemento di trama. Abbiamo un grintoso poliziotto che si chiama Giulio Manero che è una sintesi di più citazioni (a partire dal cognome), chiamato da tutti “Riccio” per ovvie questioni di capigliatura. Un carattere spigoloso e deciso come come certi ispettori del polar francese e una morale personalissima alla Dirty Harry Callaghan di Clint Eastwood che lo porta in rotta di collisione con i colleghi, tra i quali spiccano due che si chiamano Bruno e Tommy che Giulio ha soprannominato Mazinga e Candy Candy. Tra una ex compagna, la compagna dell’oggi e un figlio avuto dalla prima, lo stress può anche travalicare e Riccio decide di concedersi un breve soggiorno fuori stagione nella bella Camogli sulla riviera ligure. Dato che la Liguria d’inverno è affascinante e onirica, Riccio inizia a vivere una breve esperienza decisamente mystery, merito o colpa di una ragazza bella quanto enigmatica con la quale potrebbe scoccare persino qualche scintilla erotica di nome Anais se non fosse che il nostro pare appartenere alla categoria dei duri e fedeli. Sia come sia, la storia potrebbe evolversi pure all’indomani, ma la mattina seguente un cadavere femminile, martoriato e irriconoscibile, emerge dalle arenandosi su un gruppo di rocce, Purtroppo non sussistono dubbi sull’identità della ragazza, il corpo è quello di Anais e tutto fa pensare a un suicidio. Riccio ovviamente non la beve, per di più nella lontana e altrettanto onirica Venezia un inquietante e crudele omicidio di un noto personaggio collegato ad Anais aumenta i nebulosi sospetti dell’ispettore della Omicidi di Milano, che intendeva svernare al mare per rilassarsi…

Già, presumo di avere già scritto troppo, ma spero di avere delineato il necessario sindacale per invitarvi alla lettura di questo ottimo lavoro di Marina che ha più di una freccia al suo arco per soddisfare i palati più esigenti: una prosa a scatti secca e ritmata come usano i veri maestri, un plot originale e una ending surprise che ti mette al tappeto, personaggi solidi e a tutto tondo che si fanno amare o detestare a seconda del loro ruolo, ambientazioni efficaci che “vedi” attorno ai protagonisti come si conviene a un autentico trattamento precinematografico – La morte ti cambia la vita non lo è, ma se domani diventasse un film, il virtuale sceneggiatore avrebbe ben poco lavoro da fare.

Sicuro, Marina è un’amica – e non da oggi, mannaggia la miseria – e presumo che lo si capisca. Però, non essendo io un recensore di mestiere (lo sono al cinema, come bibliofilo mi ritengo solo un modesto appassionato…), non faccio mai sconti e a ogni libro della bellissima bionda di Pavia resto sempre piacevolmente basito dalla sua qualità di scrittrice sempre più appagante e soprattutto dalla sua capacità, così rara, di penetrare nei reami del Male con la “maiuscola”. E senza perdere mai di vista quella connotazione profondamente visionaria e irreale che fa volare in alto i veri grandi thriller di questi anni.