di Danilo Arona
In tutto il mondo decine e decine di persone scompaiono dalla faccia della terra durante un’escursione o una gita in montagna. Da quando si è iniziato a catalogare con metodo, all’incirca dagli anni Settanta, le cifre totali di questa particolare categoria di missing people sono, a livello planetario, diverse migliaia. Un censimento che si può fare solo a braccio per ovvi motivi e nel quale urgono dei “distinguo” operativi. Perché, va da sé, il rischio di incidente nelle succitate circostanze è statisticamente alto per ragioni che neppure vale la pena di spiegare. E altrettanto concreta risulta la possibilità di non ritrovare più i corpi di persone che magari cadono in anfratti del tutto impraticabili, e le cui condizioni decadono in breve tempo data anche la presenza di animali selvatici e predatori.
Ma ci sono dei “però”. In tutto il pianeta, non solo in Italia, esistono eventi che lasciano di stucco. Dagli Stati Uniti alla Bulgaria, dalla Francia alla Svizzera, dal Canada all’Italia, non si contano i casi strani a dir poco, alcuni dei quali passati anche alla trasmissione Chi l’ha visto? Parecchi anni anni fa una donna raccontava a una sbalordita Federica Sciarelli del marito praticamente svanito nel nulla dopo essere sceso dall’automobile durante una gita ad alta quota nel centro Italia. Ignoro come sia andata a finire, ma, presupposta la buona fede della testimone, trattasi di un caso limite quanto emblematico.
L’immaginario di più generazioni a monte di questo argomento è però ancora colonizzato dal nome di una località australiana che, pur non essendo tecnicamente una montagna, è stata il teatro di un evento-simbolo raccontato con abilità in due celebri opere, libro e film con lo stesso titolo, Picnic a Hanging Rock, il primo della scrittrice Joan Lindsay e il secondo diretto nel ’75 dall’allora trentunenne Peter Weir. Senza entrare nel merito artistico (che c’è ed è cospicuo), vale la pena di richiamare qui quegli elementi “sconfinati” tra realtà e fantastico, tra antropologia e mito, nei quali spesso ci imbattiamo. Innanzitutto, proprio lei, la roccia sospesa che, come dicevamo, non è affatto una montagna, ma un complesso megalitico naturale situato a una settantina di chilometri da Melbourne e alto non più di 105 metri. Stando a quel che si raccontò e si racconta ancora, il posto — visitabile all’interno di un parco gestito dallo stato — sembra “emanare” energie poco definibili che si sarebbero manifestate a più riprese con disturbi agli apparecchi o agli orologi delle persone o, come riferì lo stesso Peter Weir, con strane sensazioni di svuotamento e di perdita parziale della coscienza. Questo tipo di esperienza, che potrebbe essere pure condizionata da quella mitologia paracinematografica quasi sempre creata ad hoc (ma il film era tutt’altro che un blockbuster per il quale architettare simili manovre mediatiche…), sembra però comune ad altre zone “particolari” tanto nella stessa Australia (Ayers Rock o il cratere di Wolf Creek), che in tante altre parti del mondo (Monserrat in Spagna, Temagami in Canada, il golfo di Aden), frutto di anomalie elettrogeomagnetiche prodotte da rocce e sedimenti “radianti”. Ma procediamo.
Innanzitutto il “picnic” tirato in ballo, sul quale si è discusso sino alla noia se trattasi di un fatto realmente accaduto il giorno di San Valentino del 1900 o di un’invenzione letteraria. È accertato che si tratta di espediente letterario, ma il saperlo non è affatto importante perché di quel tipo di “scomparsa” altamente verosimile è costellata, come abbiamo detto, la storia dell’umanità. Perché si sale e qualche volta si sparisce, questo il succo. E soprattutto il film di Weir su questo schema minimale rilascia segni, anzi signs, che non dispiacerebbero a M. Night Shyamalan: una natura al contempo incontaminata e incomprensibile, un climax ammaliante per non dire perturbante, la sinergia in costruzione tra la forza stregonesca delle rocce e la voglia di trasgressione delle ragazze che andranno a svanire. La salita attraverso una “montagna sacra” che diventa esperienza ultima ed estrema. La conquista della vetta come passaggio in un altro e ignoto mondo. Insomma, la montagna, piccola o grande, e i suoi rituali di “addomesticamento” che permangono, destinati a stazionare in eterno, nel limbo dei grandi misteri irrisolti. Perché certe altissime montagne in ogni dove sono come certi infested places della natura australiana: spaventose e inquietanti in sottotraccia, anche se normali all’apparenza, perché la cosiddetta civiltà non può permettersi di violare un paesaggio secolare senza pagare dazio.
Ma c’è ancora dell’altro. Un monolite nero, come in 2001. Così leggiamo in un passo del 18° capitolo del romanzo della Lindsay tradotto in italiano da Roberto Mengoni e non pubblicato nella prima edizione del 1967:
«Irma si accorse di un suono piuttosto curioso che veniva dal piano, come il rimbombo di tamburi distanti. Miranda era stata la prima a vedere il monolite: una singola formazione di roccia, qualcosa di simile a un uovo mostruoso, che cresceva regolarmente dalle pietre davanti, sopra una scarpata. Irma, alcuni metri dietro le altre due, le vide arrestarsi d’improvviso con una lieve oscillazione, mentre con la testa chinata e le mani pressate sul petto sembrava si difendessero da una raffica di vento.»
Un monolite su una vetta che emette una vibrazione, un suono oscuro. Ricorda tante cose, vero? Portali, fessure nello spazio-tempo, la specola vaticana costruita sul Monte Graham, misteri in quota. E sempre la natura che poi passa a riscuotere. Perché, dalla letteratura alla cronaca, nel mondo reale della “roccia sospesa” esistono sul serio suoni oscuri, caverne inesplorate perché molto profonde, a detta di alcuni senza fondo, nelle quali sono scomparsi numerosi turisti.
Le autorità australiane un po’ di tempo fa hanno ipotizzato con un certo imbarazzo che molte delle persone sparite in questi decenni nella zona possano essere cadute nelle caverne per disgrazia o per suicidio, ma in verità l’imbarazzo potrebbe essere una scusa per nascondere l’impossibilità di indagare a certe profondità forse non raggiungibili. La realtà è che le sparizioni di esseri umani senza apparente causa in determinati luoghi sono molto frequenti e documentate da molti anni, ma comprensibilmente passate un po’ in sordina. In questo intrico di grotte e anfratti esiste infatti un Mondo di Sotto, che sembra essere in correlazione con la sparizione di molti turisti. E per quel che riguarda l’immenso continente australiano, è un mondo che ovviamente non riguarda soltanto Hanging Rock. La lunghissima lista delle missing person in Australia è sconcertante. Le cifre parlano di 35000 sparizioni annuali. Per il 90% questi casi si risolvono, o in bene o in male. Ma per quel 10% che ne resta fuori il numero è comunque spaventoso. E molti di questi eventi si concentrano nella zona della regione Victoria tra Melbourne e Danbury, dove si trova appunto la “roccia sospesa”.
Allora ci sono luoghi alla Hanging Rock in cui se vuoi andarci e poi tornare devi farlo con cognizione di causa. Queste zone anomale, che vantano una strettissima parentela con quelle altre chiamate “Zone Zero”, sono cariche di energie difficilmente gestibili che sono in grado di agire sull’ambiente circostante e influire direttamente sul soma e sulla psiche.
Gli aborigeni, in Australia chiamati anche “gli abitatori del Tempo del Sogno”, raccontano di visioni e di esperienze mistiche che possono catturare il visitatore esterno in prossimità di certe formazioni rocciose cariche magneticamente, magari apportatrici di significative anomalie energetiche. Gli aborigeni stanno lì da millenni e forse varrebbe la pena di dar loro retta. Ma soprattutto sono in grado di connettersi con queste forze perché, a differenza dell’uomo civilizzato, hanno mantenuto più o meno intatto il loro potere sciamanico. Il mondo, come già detto, offre un ampio campionario di zone anomale.
Come già scritto, si possono ricordare: la cresta rocciosa di Montserrat in Spagna, legata anch’essa a fenomeni magnetici e dove spesso si verificano fenomeni alquanto strani come spostamenti della bussola o luci volanti; il monte di Perperikon in Bulgaria, zona ampiamente tellurica; e ancora il Monte San Martino in Italia nella provincia di Piacenza, molto simile nella conformazione rocciosa a Hanging Rock e infine ma non ultime le colossali creste di Exterstein in Germania. Tutte zone particolari, connesse con le forze primordiali del pianeta, dove le anomalie sono facilmente riscontrabili. E proprio per questo sono luoghi da rispettare.
La casistica italiana è ampia, ma di sicuro per nulla “esoterica”. Desta però un’inquietante curiosità la lunga lista di persone scomparse in Alto Adige, ben 262 dagli anni ’70 sino al 2020. Tutte sparite in zone montagnose, uscite di casa per una gita o un’escursione e mai più tornate. Mentre nel casertano pochi hanno voglia di parlare o di scrivere sulle persone svanite vari anni fa sul Monte Maggiore, una piccola catena montuosa che sembra avere inghiottito nei suoi profondi boschi ben cinque persone anziane. Storie che sono tutte differenti, ma che appaiono caratterizzate dalla mancanza totale di riscontri fisici. Casi probabilmente già archiviati vista l’età, ma non così in là, dei soggetti. Casi sepolti dal silenzio o dall’indifferenza. O dalla magia sinistra delle rocce sospese.
Tra una settimana approfondiremo altri aspetti legati al film di Weir e alla magica roccia australiana.