L’uomo con il purillo [Il Superstite 514]

di Bernardo Beisso

Capita ogni tanto di cedere il mio spazio, di solito inviolabile, all’amico Bernardo. Se capita, ne vale la pena, garantisco. Poi, nel caso in questione, un autentico brivido di terrore è assicurato. Leggete. (Danilo Arona)

Se sei un appassionato motociclista e sei in possesso di una bella e potente moto, il desiderio di organizzare una vacanza “on the road” con in sella la tua bella è eccitante. Così in quell’inizio di settembre 1982 partiamo. La Sardegna in quel mese è stupenda e meno frequentata, quindi posizionate le borse stracolme, indossate le tute di pelle, calcato un confortevole casco, per quanto possa essere confortevole un casco, forniti di cartine geografiche dei posti da visitare e cartine per altri scopi, si parte entusiasti e felici. Fontanasse-Genova, traghetto per Olbia, posto ponte intanto si dorme sui divani, si naviga su un mare placido e cullante. 

Lo sbarco sull’isola di mattino in quella terra straniera, questo è quello che sento tutte le volte che ci vado, “Sardigna non est Italia” c’è scritto su un adesivo appiccicato sul tavolino dove facciamo la prima colazione ed è quello che penso anch’io che separatista non sono mai stato salvo che per la Sardegna.

Inizia il viaggio vagheggiato da Olbia. Costeggeremo l’isola orientale, non abbiamo mete prefissate, si viaggia e alla sera si cerca un albergo dove dormire. Inutile raccontare le bellezze, il mare, la cucina della Sardegna, ospitale come sempre e ricca di cose da scoprire. Insomma, la moto tira che è una meraviglia, ci godiamo i percorsi di curve che sono le cose per cui scegli la moto. Il territorio muta tra terre bruciate e scorci di mare azzurro, piccole baie che d’improvviso si presentano dietro all’ennesima curva a gomito.

Dopo due giorni decidiamo di attraversare l’isola e spostarci sulla costa occidentale attraversando quella regione incontaminata e arcaica della Barbagia, Nuoro ci appare sull’alto di un monte mentre rallentiamo per il passaggio di un numeroso gregge tra profumi di ginestra e liquirizia. Dopo aver mangiato un prelibato e succulento “porceddu” ci aspetta la discesa verso Sassari e le sue frastagliate coste.

Arriviamo a Bosa Marina verso sera, non troviamo un albergo che ci possa ospitare e in un bar dove sorseggiamo un caffè ci indicano un camping provvisto di bungalow ad Arbus. Bene, per questa notte ci sistemiamo lì, poi domani vedremo. Il campeggio è poco lontano, l’impressione non è buona, il posto è anche deserto, buio e come se la stagione per chi ci accoglie ormai fosse finita. Cosa ancor più grave, il ristorante è chiuso dal primo settembre. Il bungalow non ci riserba un’impressione migliore, ma sono cose che possono accadere viaggiando senza prenotare.

Nel paese c’è solo un bar. Li ci rechiamo, sperando di trovare almeno un panino, un tramezzino, qualcosa. Insomma ho fame!

Il bar si presenta come un saloon da film di cow boy, il barista manco ci saluta, torvo e curvo nell’asciugare e sistemare bicchieri; a un tavolo un ubriaco che parla con un mezzo litro di rosso, cose da girare sui talloni e andarsene ma la fame è una brutta cosa e ci suggerisce di fermarci comunque.

Riusciamo a ordinare due panini con salame di cinghiale e due birre, mentre aspettiamo e cerchiamo di divagare l’ubriaco si alza e si avvicina barcollando, veste una tuta blu da meccanico con le maniche arrotolate e un basco, quello che da noi chiamiamo “purillo”, biascica parole e in quella confusione di vocali e consonanti percepisco un: “assomigliava a lei..” rivolto alla mia compagna. Io cerco di parlargli, gli offro anche da bere visto che il mezzo litro con cui parlava è vuoto ma niente, continua a farfugliare strane frasi.

Attento a non contraddirlo, mi accorgo che sanguina dal braccio destro, ha tre graffi profondi sull’avambraccio. Colgo l’occasione e lo avverto che sta gocciolando sangue ma lui si passa una mano sulle ferite e dice che non è nulla e che è stato un vitello, almeno questo è ciò che intuisco.

Ora, un poco di cultura contadina la conosco per sapere che i vitelli non hanno ancora le corna e che comunque non potrebbero fare graffi paralleli, ma da un ubriaco cosa ti vuoi aspettare? La performance prosegue per il tempo che mangiamo e finiamo i panini, ci alziamo, paghiamo lui ci segue fino alla porta e percepisco nuovamente quel:” assomigliava a lei, gli stessi capelli…” sempre rivolto alla mia compagna.

Prima di riprendere la moto e tornare al campeggio ci fermiamo a pensare che quel posto è proprio strano e brutto, e poi quel campeggio è lugubre. Senza neanche riflettere un secondo decidiamo di andarcene. La cartina ci indica che Carbonia si può raggiungere in un tempo che ci permetta di trovare un rifugio per la notte altrimenti saranno una spiaggia e la sua sabbia a farci da letto, sempre meglio di Arbus e del suo tetro campeggio. Troviamo da dormire e una pizzeria ancora aperta dove, soddisfatti per essere usciti da una situazione strana, dividiamo una pizza per colmare ciò che i panini non erano riusciti a colmare.

Il mattino seguente svegli e arzilli entriamo in un bar per concederci una buona colazione prima di riprendere il viaggio verso Cagliari. Il bar è anche tabaccheria e rivendita di giornali; una coppia de “La Nuova Sardegna” è aperta su di un tavolino. Mentre aspettiamo cappuccini e brioche, la curiosità mi spinge a dare uno sguardo al giornale. In prima pagina campeggia una foto e un titolo a grandi lettere: “Arrestato ad Arbus il probabile omicida dei due turisti tedeschi”, Guardo la foto e sbianco, in piedi in mezzo a due carabinieri un uomo con una tuta blu e un purillo, non mi posso sbagliare, è proprio l’ubriaco di ieri notte.

Poi la foto del pulmino Volkswagen con targa germanica e la foto delle due vittime, guardo sbigottito la foto di lei e mi accorgo che assomiglia alla mia compagna. Una grappa prima di colazione cerca di farmi uscire dall’incubo della scoperta. Ripartiamo sul motociclo ma entrambi abbiamo perso  vitalità e la voglia di viaggiare è scemata al punto che la cosa migliore è arrivare a Olbia nel più breve tempo possibile, trovare un traghetto per il continente non importa se per Genova o Livorno o Civitavecchia, l’importante è lasciare l’isola. Ma si sa che non basta allontanarsi da un posto per dimenticare uno shock sconvolgente che ha rimestato le tue certezze e fiaccato ogni entusiasmo. Torniamo a casa e non ne parliamo con nessuno fino a che, seguendo la cronaca non veniamo a scoprire che l’uomo con il purillo è stato scarcerato, non ci sono abbastanza prove per incriminarlo, ma io sono certo che quelle ferite sul suo braccio erano chiaramente graffi profondi e mi fermo a immaginare il terrore della vittima che ha assistito alla morte del suo compagno e che sta  sta per essere violentata sapendo che anche lei dovrà morire; mi appare una mano che cerca di difendersi  divincolandosi come può, vedo le unghie che come ultimo atto conficcandosi nel braccio lo lacerano lasciando tre segni di sangue, l’ultimo vano tentativo per salvarsi.

Solo dopo dieci anni attraverso confessioni e interrogatori, l’uomo verrà di nuovo arrestato per altri reati e si scoprirà attraverso la delazione della moglie il suo duplice omicidio e  il tipo verrà condannato all’ergastolo per l’assassinio di due turisti tedeschi, L’uomo passerà alle cronache come “il mostro di Arbus” e per me “L’uomo con il purillo”. Si chiama Sergio Curreli, pluriomicida, stupratore e insospettabile amante degli animali.