Mia, paura e desiderio [Il Superstite 513]

ATO6: "Crisi idrica, i cittadini siano più parsimoniosi con l'acqua" CorriereAl 1

di Danilo Arona

Mia di Debora Parisi, scrittrice giovane ma con parecchi lavori all’attivo, è un racconto lungo una settantina di cartelle, che l’editore Alessandro Balestra  di Scheletri definisce “porno horror esplicito e senza censura”. Nel merito del “confine” tra erotismo hard e porno non è facile entrare e glisso volentieri. Peraltro il soggettivo punto di vista narrativo del plot è solo ed esclusivamente femminile e qualcosa dovrebbe suggerire. La storia in due parole racconta di una giovane violata brutalmente e a più riprese da un demone stupratore che si manifesta dal mondo onirico e sempre di notte, figura terrificante che il bravo Alessandro Amoruso disegna con fattezze abbastanza simili all’Alien di Giger.

Mia pesca da una tradizione sparsa qua e la nel gotico moderno a cavallo tra letteratura (alta e bassa), cronaca desueta, psicanalisi e antropologia. Nella consapevolezza che molti “rimandi” non sono neppure intenzionali ma giacciono nelle memorie degli autori in attesa di essere riesumati, non è improprio rammentare precedenti letterari che si chiamano Incubus di Ray Russell e Entity di Frank De Felitta, romanzi divenuti anche film, ma soprattutto la lunga e antichissima tradizione dei Bedroom Invaders, epifenomeno segnalato da quando esistono le camere da letto.

Infatti, eserciti notturni di creature che diconsi fantastiche (fantasmi, demoni, streghe, vampiri, e mille varianti) turbano da millenni i sonni dell’umanità e, guarda caso, si concentrano in quello che è lo spazio più intimo della casa, ovvero la camera in cui si dorme e, per intenderci, si perpetra l’atto sessuale. Dalla preistoria sumerica alla Roma imperiale è stato tutto un brulicare di demoni e demonesse infoiate (Lamashtu, Lilith, Lamie, Incubi e Succubi, Striges e Lilim) che arroventavano le notti dei nostri antenati, e via procedendo nel tempo — transitando per i Tulpa e la mitica Old Hag descritta da David Hufford nel libro The Terror That Comes in the Night, arrivando infine alle ossessioni di fine secolo scorso con  gli alieni che irrompono in piena notte, fanno quel che farebbe un qualsiasi intruso terrestre a digiuno da tre anni e ti lasciano nel corpo dei souvenir, appunto impianti di supposta matrice marziana. Roba così seria, soprattutto in America, che la psichiatria l’ha già classificata come “Sindrome di Diana”, laddove l’acronimo recita “Deliro Individuale da Aggressione Notturna Aliena”. Però c’è poco da ridere, perché di fronte ad alcuni casi psichiatri e psicanalisti non possono far altro che arrendersi: in certi corpi “violati” dagli alieni la quantità di microimpianti, altamente sofisticati, è stata qualcosa di straordinario, a causa anche della delicatezza di certe zone (genitali) in cui gli oggetti sono stati inseriti. Un contagio psichico a macchia d’olio, con una serie sconcertante di “attivazioni” di facoltà nascoste in seguito alle visite aliene e la quasi totalità delle conferme diagnostiche ottenute dalle regressioni post-ipnotiche.

Qualcosa del genere capitò persino ad Alessandria, dove una donna allora sulla quarantina  raccontò circa vent’anni fa che tutte le notti, più o meno, riceveva la visita di un’entità all’apparenza incorporea che, come s’infila sotto le coperte, diventava carnale e la costringeva all’amplesso. Detta così fa ridere, ma la tipa sembrava la versione femminile dell’uomo senza sonno, il protagonista del film The Machinist.

Comunque un dato interessante è che Entity non ha  inventato quasi nulla. Il cinematografico caso di Carla Moran adombra il bizzarro avvenimento, realmente accaduto nel 1974 a Culver City, di tal Doris Bither che accusò ripetute aggressioni sessuali da parte di un essere non visibile. La Bither presentava di sicuro un vissuto a dir poco tormentato, in quanto madre di quattro figli avuti da altrettanti diversi padri, e con non poche difficoltà sul fronte del vissuto quotidiano. Quando si rivolse, poco più che trentenne, all’UCLA dell’Università di Los Angeles, affermando di essere da mesi tormentata in casa da un’entità invisibile che la picchiava e la stuprava con un bel corredo di fenomeni paranormali, medici ed esperti la presero sulle prime come il tipico caso di una persona che richiedeva attenzione dal mondo per magari lucrarci sopra.

I referti medici però non lasciavano spazio a dubbi in quanto la donna  risultava piena di lividi e gli esperti dell’UCLA, una volta ottenuto l’accesso alla casa, constatarono che i presunti fenomeni metapsichici corrispondevano al vero: si registravano infatti lampi di luce, cattivi odori senza una fonte, abbassamenti inspiegabili della temperatura e persino eventi di psicocinesi. Per il caso Bither si mossero numi quasi tutelari della parapsicologia dell’epoca quali la dottoressa Thelma Moss, Barry Taff e Kerry Geynor, che con strumenti di rilevazione elettromagnetica e macchine fotografiche di vario tipo, ritennero altamente possibile che in quella casa fosse in atto un’attività paranormale dovuta a un poltergeist.

In una delle tante sedute intervenne anche Frank De Felitta che ovviamente da qui si mosse per scrivere il romanzo. Dopo mesi di ricerche e soprattutto dopo l’uscita del libro la Bither decise di chiudere la collaborazione con i medici e di ritirarsi a vita privata. Quindi uscì il film, pur essendo il nome della protagonista fittizio, il mondo venne a conoscenza della storia, anche se in pochi ovviamente prestarono fede alle avvertenze che Entity era ispirato a un evento autentico. La Bither morì in seguito nel 1999, lasciandosi dietro il suo bel carico di dubbi e polemiche, come sempre capita per storie ai confini della realtà.

C’è però da annotare, quale che sia la verità, che moltissimi titoli del cinema gotico moderno dichiarano di derivare da casistiche autentiche realmente accadute: dallo stesso Esorcista alla lunghissima serie di Amityville Horror alle vicende dei coniugi Lorrain portate sullo schermo dai vari The Conjuring, le storie “vere” a base di possessioni e incontri ravvicinati del Quarto Tipo non mancano e aprono una discreta finestra sul mistero con la “emme” maiuscola, laddove il reale riesce a essere più sconcertante della più scatenata fantasia di sceneggiatori e scrittori.

Da qui il paradosso evidente: alcuni degli horror più efficaci della storia rispecchiano vicende realmente accadute. Ovvero, rilanciano il genere come contraltare realistico a fronte di ipotesi che la scienza in genere esclude. Ma sono veramente troppi i casi in cui la scienza deve fermarsi di fronte all’inspiegabile.