L’horror del giorno, cucinato espresso [Il Superstite 510]

ATO6: "Crisi idrica, i cittadini siano più parsimoniosi con l'acqua" CorriereAl 1

di Danilo Arona

Da tempo (quanto?) la storia e la cronaca sembrano impazzite. Si potrebbe obiettare che più o meno è sempre stato così. E forse è un’opinione da rispettare, dato che uno della mia età possiede un bagaglio mnemonico  con dentro sanguinose stragi terroristiche, gli orrori del Circeo, mostri di Firenze, varie e (non) eventuali. Oggi abbiamo in più l’aggravante del cellulare per riprendere l’orrore al lavoro.

Ciò premesso da parte mia, vengo a Fulvia Caprara che su La Stampa del 28 agosto scrive, analizzando tendenze del Festival cinematografico di Venezia, in un quanto mai interessante articolo che l’horror che l’horror si è trasformato nel linguaggio perfetto per descrivere la metafora del nostro contemporaneo.

«Alla Mostra di Venezia non si erano mai visti tanti vampiri, tanti mostri, tanti alieni. Il disagio cresce e con esso il bisogno di ricorrere a una rappresentazione alternativa, più forte, più incisiva, di quella della semplice denuncia. Nel film El Conde di Pablo Larrain il dittatore Augusto Pinochet si libra con le sue ali minacciose  nel cielo plumbeo di un paese desolato. Un vampiro che morde  le sue prede e le tramuta in suoi simili. “Il film, ha dichiarato a Variety il regista, si basa su una vecchia idea fondata sul pericoloso concetto che un personaggio come Pinochet potrebbe essere eterno. In un momento come questo in cui la storia sembra che possa ripetersi, l’ipotesi attraente è che il male possa nutrirsi per esistere attraverso gli anni.” In tempi di violenze inarrestabili e di femminicidi quotidiani, il regista greco Yorgos Lanthimos descrive in Poor Things un percorso di emancipazione femminile mettendo in scena una protagonista, Bella Baxter che è una sorta di esperimento alla Frankenstein, interpretata da Emma Stone. Un’altra donna tormentata occupa la scena de La Bête di Bertrand Bonello, tratto molto liberamente dal racconto di Henry James La bestia nella giungla, in cui la protagonista Gabrielle decide di purificare il suo DNA affidandosi a una società che usa l’Intelligenza Artificiale per far rivivere alle persone le loro passate esistenze, liberandole dal peso delle emozioni, ormai considerate come delle minacce.» Altri vampiri di nobile matrice letteraria in The Vourdalak, esordio di Adrien Beau, basato sulla novella di Tolstoj, già tradotta sullo schermo da Mario Bava (I tre volti della paura) e da Giulio Ferroni (La notte dei diavoli), dedicato a un giovane marchese che dopo la morte torna nell’aldiqua come un revenant destinato però a un’importante missione. «Altre ossessioni – conclude la Caprara – risuonano in Vermin di Sebastien Vanicek, dove un’invasione di ragni velenosi costringe gli abitanti di una palazzina di periferia a battersi per la sopravvivenza. Anche qui, nella cornice dell’horror legato a esplosioni naturali, si annida l’allegoria sociale. L’impressione è che, per capire il nostro presente, dovremmo armarci di coraggio e frugare nei nostri più oscuri timori.»

In verità è stato così sin dalle origini. Il cinema, soprattutto con  l’horror e il fantastico, ha sempre messo in scena le inquietudini planetarie. L’Espressionismo Tedesco che alludeva al nazismo montante, le ammucchiate dei mostri gotici della Universal che anticipavano il grande conflitto mondiale, la fantascienza degli anni ’50 che metaforizzava la guerra fredda e la paura atomica e il satanic movie di William Friedkin (ma anche il body horror  di Cronenberg, padre e figlio) che con “i demoni sotto la pelle” ci ricorda i tabù più inguardabili della storia più recente. La considerazione, banale quanto amara,è che la cronaca, purtroppo, fa a gara da tempo con il più crudo immaginario degli autori più attenti,

Mi torna alla mente, quanto mai attinente, una considerazione di As Chianese di troppi anni fa (Pazuzu is reloaded su Carmilla Online, 29/12/2003), quando scriveva ai tempi della maledetta guerra in Iraq, che in qualche chiacchierata con me venne quasi imbastita una piccola trama che casca a fagiolo: «Ipotizzammo che la guerra sia stata fatta non solo per il petrolio o per chissà quale interesse ma anche per il demone Pazuzu, per avere una sua reliquia o per la sua statua, perché una certa intellighenzia americana potente e corrotta è strettamente legata al culto del Dio alato; ma uno di questi, magari un senatore, ha una figlia quattordicenne che…. Insomma: bagattelle per un massacro, in un periodo dei più difficili per la pace mondiale. In un passo del libro di Daniela Catelli e  Danilo Arona, L’esorcista, il cinema, il mito, si ipotizza (con ironia, parentesi mia di oggi) che la possessione di Regan sia stata una sorta di vendetta del demone Pazuzu, nei confronti di chi, nel prologo del film, era andato nella sua terra, l’Iraq, a dissotterrare alcuni reperti archeologici, a scoprire tombe e segreti che sarebbe stato meglio lasciare intatti. E se Pazuzu volesse oggi vendicarsi anche di chi sta sfruttando e bombardando e la sua patria?»