L’Italia lunare di Fabio Camilletti [Il Superstite 502]

ATO6: "Crisi idrica, i cittadini siano più parsimoniosi con l'acqua" CorriereAl 1

di Danilo Arona

In epoca di vero e/o presunto weird, mi piace riproporre un libro genialissimo di uno studioso e saggista altrettanto brillante, Italia lunare – Gli anni Sessanta e l’occulto (Peter Lang Publishing Group, 2018) è un percorso a 360° nei materiali cosiddetti “alti” e “bassi” del gotico italiano di quell’epoca che privilegia il filo rosso tematico dell’occulto come traccia caratterizzante di prodotti mediatici (libri, film, fumetti, dispense, riviste, etc…) la cui deriva “irrazionale”, per capirci, viveva in una sorta di semiclandestinità intellettuale per la massiccia presenza di una critica “materialista (storica)” che giusto tollerava le aperture al fantastico di un Buzzati e di un Fellini. Essendo nato nel ’50 quel clima l’ho vissuto: parlare e scrivere di un certo cinema (che so, la Hammer o Mario Bava e i suoi epigoni) con criteri didattici era rischioso quanto precorritore di giganteschi equivoci. Uno per tutti: proprio mentre si sosteneva che la fantasia stesse per andare al potere, l’ostracismo dell’intellighenzia allora imperante relegava in angolo, senza permetterne un’accettabile lettura, prodotti di altissimo valore artistico quali, solo per fare due esempi, la versione di Jack Clayton di Giro di vite di James (The Innocents) e quel film di svolta che fu Rosemary’s Baby di Polanski. Prese di posizione “a favore” dei generi con spazi e argomenti adeguati bisognava andarsele a cercare in riviste da edicola quali l’indimenticabile Horror di Gino Sansoni editore o nelle pagine del seminale e insuperabile volume di Emilio De’ Rossignoli, Io credo nei vampiri, nel titolo e nei contenuti non certo destinato a una popolazione accademica. Ma allora Cosa è questo testo prezioso che nel suo percorso “carsico” mi ha ricordato e non poco il fondamentale Mattino dei Maghi di Pauwels e Bergier? Lo facciamo dire allo stesso Camilletti che ce ne rende testimonianza nella bella introduzione:

«…Sgombriamo subito il campo da un possibile equivoco: questo non è un libro sul fantastico italiano, e non soltanto perché sarebbe l’ennesimo, ma perché la nozione di fantastico sarebbe inadeguata a dar conto del fenomeno che qui esamino. Impostasi nel dibattito critico sull’onda del celebre saggio di Tzvetan Todorov sulla littérature fantastique, uscito nel 1970 ma tradotto in italiano nel 1977,16 l’idea di fantastico italiano tuttora prevalente viene di fatto elaborata in un quinquennio – tra il 1983 e il 1988 – in cui ‘tre modelli teorici […] risultano atti a saldarsi reciprocamente, formando un amalgama di abbagliante prestigio’: ‘il fantastico “colto” e mainstream’ di Enrico Ghidetti e Leonardo Lattarulo, che nel 1984 danno alle stampe i due volumi di Notturno italiano; il ‘fantastico “intellettuale”’ teorizzato da Italo Calvino in vari saggi e conferenze; e il ‘magico-surreale “intelligente” e “ironico”’ antologizzato da Gianfranco Contini in Italie magique (1946), che proprio nel 1988 viene per la prima volta riproposta in lingua italiana. Modelli prestigiosi, certo: ma forse proprio per questo particolarmente invasivi, nell’aver imposto un’immagine del fantastico italiano che resta in larga parte infondata da un punto di vista storico, viziata da quello ideologico e restrittiva da un punto di vista critico. Il fatto è che questo fantastico esclusivamente letterario e ‘alto’, intellettualistico e razionale, taglia precisamente fuori – e l’elisione non è innocente – la contaminazione con altri codici e la cultura ‘popolare’, il manieristico e l’irrazionale: e si può, certo, ammonire di non mescolare il la letteratura fantastica ‘con una quantità di altri prodotti letterari, anche della letteratura più bassa e di consumo’ che ne inquinerebbero una presunta ‘identità’; ma con la consapevolezza, così facendo, di perdere di vista la complessità di un fenomeno caratterizzato proprio dal suo costante muoversi tra ‘basso’ e ‘alto’, nutrendosi di suggestioni esterne anche, e spesso, delle più triviali. Ciò è tanto vero per il ‘fantastico romantico’, le cui origini si intersecano con quelle della stessa, moderna industria culturale – quanto per il Novecento: il ‘nuovo interesse’ per il gotico e il fantastico che, sostiene Marco Belpoliti, attraversa l’Italia degli anni Ottanta come peculiarissimo sintomo di riflusso e disimpegno, appare nuovo solo quando si considerino esclusivamente autori ed editori illustri e canonizzati. In realtà, come intendo qui dimostrare, il fenomeno deve essere retrodatato almeno di venticinque anni; e lo stesso saggio di Todorov, più che un punto di partenza, pare essere l’approdo di una più ampia rivalutazione – in Francia come in Italia, e spesso, come vedremo, tra Francia e Italia – del romanticismo ‘nero’ in tutte le sue declinazioni, iniziata alla fine degli anni Cinquanta tra suggestioni tardo-surrealiste e la ventata di novità portata dalla Hammer Film. Lo stesso, anarcoide eclettismo caratterizza la rivista. un pionieristico ibrido di fumetti e rubriche culturali nato dall’incontro fra l’editore Gino Sansoni – marito di Angela Giussani, la creatrice di Diabolik – e l’istrionico Pier Carpi, regista, occultista e romanziere. Il primo numero esce a fine novembre 1969, pochi giorni dopo l’esordio del quotidiano Lotta continua (1 novembre) e a ridosso della strage di Piazza Fontana: nella sua breve vita editoriale – appena ventidue numeri – Horror raduna il gotha del fumetto italiano, da Dino Battaglia a Marco Rostagno, assieme a ‘molte penne prestigiose, da Ornella Volta a Orio Caldiron, da Piero Zanotto a Emilio de’ Rossignoli, passando per i lovecraftiani Gianfranco De Turris e Sebastiano Fusco; c’è pure spazio per un imberbe Luigi Cozzi, con le sue interviste pionieristiche ai protagonisti del cinema horror italiano’, e per collaboratori estemporanei come Forrest J. Ackerman o Dino Buzzati. Le parole chiave sono quelle che campeggiano in copertina a ogni numero, il ‘terrore’, la ‘magia’, l’‘incubo’ e il ‘mistero’: in una parola, l’‘insolito’, ‘termine oggi infelicemente desueto’, ma sotto il quale si poteva, all’epoca, sussumere di tutto – i film dell’orrore, la parapsicologia, l’esoterismo – sullo sfondo di un interesse per l’occulto che in Italia trova uno dei suoi laboratori più illustri e imprevedibili. Italia lunare analizza questo discorso relativo all’occulto nella sua natura multiforme e porosa, capace di scombinare linguaggi e gerarchie culturali e di mettere in dialogo esperienze fra le più diverse: il gotico cinematografico e il paranormale da rivista, i tascabili pulp e la letteratura ‘alta’, suggestioni junghiane e paccottiglia parapsicologica, l’Italia misteriosa del cinema di genere e quella, altrettanto ‘insolita’, che affiora nel discorso accademico su folclore e classi subalterne. È un discorso sull’occulto che non rimane fossilizzato nella nicchia di una sottocultura, ma che attraversa i linguaggi e le forme comunicative, a volte come suggestione, altre come concessione alla moda del momento, altre volte ancora in modo più strutturato: e per il quale Christopher Partridge ha, se non coniato, quantomeno reso celebre il termine ‘occultura’ (Occulture), che definisce la sopravvivenza e la riarticolazione dell’occulto in epoche di (presunta) secolarizzazione. È una definizione rischiosa, nota Partridge, poiché l’occulto stesso è più un termine onnicomprensivo per una serie di pratiche discorsive anche molto diverse fra loro (e non tutte relative al soprannaturale) che un apparato concettuale unitario: fra gli esempi da lui riportati stanno, e non sono gli unici, la Magick di Aleister Crowley, l’esoterismo di estrema destra, l’ecologismo radicale, gli angeli, la cristalloterapia, la fanta-archeologia, la Wicca e l’ufologia. E tuttavia, per i nostri scopi – che non sono quelli dell’antropologia religiosa, ma degli studi culturali – è sufficiente notare come la fluidità che caratterizza l’‘occultura’ non vada a scapito di una sua immediata riconoscibilità, ma ne sia proprio uno dei marchi distintivi».

Lunga citazione, ma necessaria, alla quale il sottoscritto non può che rendere conferma. Di cosa ci occupiamo infatti, da troppi anni, se non di “occultura”, saltellando da narrativa gotico-moderna a saggistica di confine, da sceneggiature per fumetti neri a libri sul cinema popolare quali horror e fantascienza? Non mi ero mai posto consapevolmente il problema di individuarci un minimo comun denominatore, ma grazie al libro di Camilletti ora lo conosco. E ne concordo. Tra l’altro non a caso, Camilletti è anche l’autore del saggio Melissa, o l’autostoppista fantasma 2.0: meme, leggende urbane e formule di pathos, presentato al convegno Old Masters and New Monsters, tenutosi a Padova cinque anni fa. Melissa, come qualcuno saprà, è una faccenda che mi riguarda molto da vicino e la sua presenza in ambito universitario non può che farmi gioire.