Le pazze risate di Jonathan Carroll [Il Superstite 492]

ATO6: "Crisi idrica, i cittadini siano più parsimoniosi con l'acqua" CorriereAl 1

di Danilo Arona

C’era una volta, o c’è ancora, o forse ci dovrebbe essere il genere. Quella Cosa Carpenteriana Mutaforma che potrebbe servire in primo luogo agli addetti di libreria – come vedete, non oso nemmeno più scrivere la parola “libraio” perché non so quanti ne esistano ancora di effettivi, ma spero tanti – per comporre scaffali e direzionare l’acquirente alla ricerca, spesso silenziosa, di qualche suo autore favorito. E ci sono autori, non molti ma nemmeno pochi, che gli addetti non sanno mai bene dove piazzare.

Tra un Philip Ridley e una Joyce Carol Oates, un Roald Dahl e una Alice Sebold, per non dire di un cospicuo gruppo di latino-americani che attraversano il fantastico alla loro personalissima maniera (Donoso, Puig, Sastre, Cortazar e altri ancora all’ombra del magnifico Borges), tra i più complicati da “maneggiare” si guadagna un posto d’onore Jonathan Carroll, classe 1949, americano trapiantato a Vienna e da sempre sfuggente a qualsiasi strumentale tentativo di catalogazione.

Sul fatto in sé chi frequenta un po’ l’editoria italica è al corrente che la scuola di pensiero prevalente recita che gli autori debbano essere “etichettabili” con estrema precisione. Così vuole il mercato e così vogliono i lettori, quei pochi e “forti” che tengono in piedi, si racconta, il sistema. Nel cuore del problema neppure ci entro e solo il fatto che le opere di Carroll non siano state tutte tradotte in italiano e giunte un po’ alla spicciolata dopo un’ottima partenza, pubblicate quasi tutte da Fazi, qualcosa dovrebbe raccontarci. Soprattutto che Carroll, vado per approssimazione e intuizione e posso anche sbagliarmi, sia ancora, nonostante una quindicina di romanzi pubblicati in Italia, un oggetto abbastanza misterioso soprattutto per chi consuma King e altri autori del fantastico contemporaneo di più facile approccio.

Forse nell’ottica di costruire un ideale pubblico “carrolliano”, l’editore torinese Gianni La Corte – che da quando esiste propone titoli e autori di notevolissimo interesse (tra gli italiani non perdetevi Francesca Caldiani e Antonio Lanzetta) – ha riproposto cinque bellissimi titoli dell’autore canadese, ovvero Lascia che il passato inizi (Sleeping in Flame) del 1988, Il fantasma che si innamorò (The Ghost in Love) del 2008, La forza del leone (Bathing the Lion) del 2014, Mr. Breakfast (idem) del 2019 e, buon ultimo, Il paese delle pazze risate (The Land of Laughs).

L’ultimo però è il primo, perché trattasi del romanzo di esordio risalente al 1980, prima e unica incursione mondadoriana in un reame che sarà in seguito targato Fazi. E mai esordio, a parere di chi scrive, fu più felice e presago della narrativa a venire. Adesso, come fanno di solito o recensori, sarebbe mio compito raccontarvi qualcosa senza guastare il gusto per le sorprese, che qui sono tante e di suprema qualità. Cercherò di farlo, trasmettendovi qualche mia impressione, la prima delle quali è che Carroll lavora con uno stile talmente fluido e limpido che potrebbe esporvi per 200 pagine la sua lista quotidiana della spesa che non solo non vi annoiereste, ma vi proporreste come aiuto per portare le borse.

Il fatto è che Carroll racconta eventi, vite, anime e corpi, e li fa amare. Anzi, ve ne fa innamorare. Una volta iniziata la lettura, non ve ne staccate più, nemmeno quando vi ritrovate seduti per uno spuntino. In più, elemento positivo, è anche un libro di scrittori e per scrittori, quindi anche di ossessioni e fantasmi della mente. Soprattutto, il dubbio primario che certa letteratura ha il potere di dare la vita alle idee fittizie. Vita vera, di carne e di sangue.

Thomas Abbey è un giovane insegnante che a un certo punto della sua vita. dopo un incontro fortuito con una stramba e adorabile ragazza dal nome Saxony, intende scrivere una biografia sul suo oggetto di culto letterario, Marshall France, autore prematuramente scomparso dopo avere scritto pochi e bizzarri titoli tra cui, appunto, quello che intitola il romanzo di Carroll (gioco di specchi che già la dice lunga). Con lei, che nel frattempo è divenuta la sua ragazza, decide dopo un paio di interlocutorie visite agli ex datori di lavoro di Marshall, un impresario di pompe funebri e un editore, di raggiungere il piccolo paese del Missouri, Galen, dove lo scrittore è morto a 44 anni, lasciando sola in una grande casa una figlia più che scorbutica, se non pericolosa, a detta del succitato editore.

I due si mettono in viaggio e intanto impariamo a conoscerli. Soprattutto lui, figlio di un attore di grande successo dall’ombra ingombrante e adulto per certi versi ancora immaturo, ammesso e non concesso che la maturità borghese sia per Thomas un valore da coltivare.

Quando giungono a Galen, inizia un carosello di eventi sul quale il vostro recensore è bene che taccia, per quanto a malincuore. Sappiate solo che, se siete appassionati dei “generi” quali mystery, thriller, gothic e altri nei dintorni – se amate definirli -, vi trovate a casa, ma non aspettatevi classiche dinamiche o archetipi tipici dell’horror perché Carroll non è quel tipo di scrittore. Se fossimo al cinema, bisognerebbe dare ragione a Stephen King a cui è attribuita la frase: “Jonathan Carroll fa paura quanto Hitchcock quando non fa ridere quanto Jim Carrey”. È vero, accidenti, anche se la tragedia incombe con la sua maschera più fosca – e le maschere qui c’entrano alla grande… – e il finale lo conferma: un colpo di scena che trancia le gambe, ma dovete scoprirvelo nelle ultime pagine. I più sensibili con le lacrime agli occhi.

Carroll, tanto per non smentire chi sostiene che certi personaggi siano alias di chi li crea, ha avuto un padre importante, lo sceneggiatore Sidney Carroll, autore dello script de Lo spaccone di Robert Rossen (1961), e sotto quell’Ombra ha prodotto 24 titoli. Forse Il paese delle pazze risate li contiene già tutti e non è affatto un difetto. Come scrive lo stesso Carroll alla fine della curatissima edizione di La Corte, il libro «ha venduto nel corso degli anni due milioni di copie in tutto il mondo ed è stato tradotto in molte lingue… e se sulla mia lapide si volesse incidere – scrisse Il paese delle pazze risate – direi che potrebbe bastarmi.»

Anch’io direi che questa scheda sia sufficiente a stimolare la curiosità di chi non conosce Carroll, certo che dopo l’oscuro e lynchiano (si può scrivere?) paese di Galen ne vorrete ancora.