La carrozza di Negri [Lisòndria tra Tani e Burmia]

di Piero Archenti

 

Come scriveva Piero Angolini nel 1953, “rivè con la caròsa ‘d Negri”, significava, e significa tutt’ora, prendersela comoda e arrivare in ritardo all’appuntamento prefissato. A ben vedere però, le carrozze di Negri, siamo nel 1850, dovevano fare i conti con imprevisti di ogni sorta e non ultimo le condizioni delle strade soprattutto in inverno quando le piogge le trasformavano in pantani in cui era facile rimanere bloccati.

Per questo motivo assumeva una importanza fondamentale l’opera del vetturino il quale doveva essere premuroso con i cavalli affidati alle sue cure. Per intanto, i bravi vetturini insegnano ai propri cavalli ad obbedire alla voce. Le redini servono solo per maggior chiarezza. I cavalli con i vetturini che hanno arte e mestiere non vengono mai toccati dalla frusta che è usata dal vetturino solo da incitamento sotto forma di “schiocchi”, che sono rumori, non colpi sulla schiena e fianchi del cavallo. Difficile dire però se questa regola era regolarmente rispettata da tutti i vetturini…

Sui carri da traino, quando si presentavano salite lunghe e ripide aggiungevano alla pariglia un altro paio di cavalli o di buoi, a seconda del peso che dovevano trainare. A metà giornata era prevista una sosta nel corso della quale i cavalli venivano rifocillati con dell’avena o pan secco. Importante la sera strigliare i cavalli e quando veniva tolto di bocca il morso, la sciacquatura con acqua e aceto. Infatti, correvano gravi rischi, se capitava un’improvvisa azzoppatura o, peggio ancora, la morte di un cavallo lontano da casa, rischiavano di veder rovinata o, peggio ancora, finita la loro attività.

I benestanti possedevano la loro carrozza e, come oggi, non mancava chi avesse al suo servizio il vetturino in livrea. Noleggiare una carrozza non era da tutti, se la potevano permettere solo le persone facoltose. Ovviamente la carrozza era chiusa per l’inverno e aperta nella bella stagione, solitamente la trainava un solo cavallo, due cavalli erano invece attaccati, con finimenti lussuosi, al “landeau”, la carrozza di lusso per le occasioni solenni.

Esistono diversi modi di attaccare i cavalli, le configurazioni più comuni sono: Il singolo, ossia un unico cavallo; La pariglia: due cavalli uno accanto all’atro; Il tiro a quattro: quattro cavalli in totale di cui una pariglia davanti di volata e una dietro di timone; Il tiro a sei o della Regina formato da tre pariglie una davanti all’altra. Nelle illustrazioni a corredo sono illustrate le quattro configurazioni.

Gli sposi di una certa condizione sociale, con il loro seguito si servivano di carrozze con la “pariglia”. Secondo attendibili testimonianze storiche la prima carrozza dell’epoca moderna con abitacolo chiuso da sportelli dotati di vetri nacque a Berlino nel 1670, su invenzione dell’architetto piemontese Filippo di Chiese il quale realizzò questo primo modello di carrozza che, forse per la vicinanza della capitale tedesca, venne chiamata “berlina”.

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La Vettura di Negri

E’ ancora usata dalla nostra gente una singolare espressione che fu assai cara ai nostri nonni: “arrivare con la vettura di Negri” col significato di giungere in ritardo a cose fatte. Racconta Michele Lessona emerito dell’Ateneo Torinese e arguto scrittore nostro del secolo scorso che viaggiando un giorno su di un trenino lumaca diretto a Napoli, udì esclamare con schietto accento meridionale e con sua grande meraviglia, che di quel passo si sarebbe arrivati con la vettura di Negri! Come poteva un napoletano conoscere un detto allora comunissimo in tutto il Piemonte?

Pochi sanno che i Negri, vetturali famosi di cento e più anni fa, sono una gloria alessandrina: qui infatti i Negri nacquero, vissero e oprarono, ignorando certo di passare alla storia folcloristica del nostro paese. A quanto risulta i fratelli Negri avevano più di cento vetture in uso, tutte dello stesso stampo antiquato, e per questo molto conosciuto, che viaggiavano di continuo per Torino, Genova, Milano e oltre. Vetture traballanti tipo timoniera, tirate da due cavalli…riformati dal governo, che già avevano dimenticato il galoppo e sentivano avversione anche per il trotto.

Il vetturino, di solito anziano, pipa in bocca e frusta alla mano, portava sempre un cappello a cilindro grigio e una zimarra a sette giri di pellegrine sovrapposte, detta “chiri”. I cavalli erano scambiati lungo le vie a distanze fisse e in queste fermate avveniva anche il movimento dei viaggiatori: tutto questo intorno al 1853 quando in Alessandria fu inaugurata la prima stazione ferroviaria. Forse da quel momento ebbe inizio la fine di tanta attività; pur dopo tanti anni rimane tuttavia il ricordo quasi proverbiale, della vettura di Negri.

Chi oggi percorre la via Pontida subito dopo le scuole “Migliara” scorge un gruppo di vecchie case quasi rustiche. Qui i Negri avevano scuderie e rimesse e per la loro notorietà risulta che la strada detta “delle scuole” e prima ancora denominata di “S. Martino de Glaries” (mutato in delle Ghiaie!) era dal popolo indicata come la contrada della posta. Per notizia diremo ancora che ai primi dell’ottocento il servizio era tenuto da certi Lombardi, uno dei quali aveva il titolo di “corriere di gabinetto”. Passò poi ai Carnevali ed infine intorno al 1850 ai nostri fratelli Negri…dalle vetture famose.

Piero Angiolini 14-03-1953