Urbano Rattazzi merita qualcosa di più di quella colonna di cemento! [Lisòndria tra Tani e Burmia]

di Piero Archenti

 

Il primo monumento a Urbano Rattazzi risale al 1883 e sorgeva esattamente nello stesso luogo, ossia piazza Garibaldi, dove si trova tutt’ora l’attuale monumento sorto in Alessandria alla fine del 1900 per celebrare il nostro statista alessandrino.

Un monumento, quello odierno, destinato a confrontarsi con quello precedente e non tanto per il monumento in quanto tale. Infatti le critiche non si accaniscono sull’opera di Ferruccio Pozzato in quanto tale, quanto piuttosto sullo striminzito basamento che regge il bronzo che rappresenta fisicamente l’opera di Pozzato!


Sono ormai 22 anni che quel monumento viene criticato dagli alessandrini, certamente non per quel che rappresenta, ma piuttosto per la coreografia pressoché inesistente e dozzinale che lo supporta, quando invece, nelle intenzioni dell’artista che lo ha creato, dovrebbe celebrare lo Statista che rappresenta.

Infatti, l’opera in bronzo è firmata da Ferruccio Pozzato, mentre la colonna che regge il bronzo altro non è che una striminzita colonna di cemento alta un paio di metri, da anni ormai perennemente usata, e pare assai apprezzata, dagli onnipresenti piccioni che sembrerebbero averlo adottato come luogo di “pubblica indecenza”. Persino la targa in marmo che reca l’indicazione del nome dello statista alessandrino è praticamente illeggibile… e certamente non per lo scorrere del tempo!

Povero Rattazzi! Quale triste epilogo per un monumento che nulla ha di paragonabile con l’aspetto coreografico del primitivo monumento del 1883, infatti, a partire dal basamento per terminare con i quattro grifoni che reggevano le pesanti catene che delimitavano il perimetro del monumento stesso, tutta l’opera era destinata a celebrare il celebre statista alessandrino.

L’odierno monumento a Rattazzi invece, così come si trova collocato su quella anonima colonna di cemento, parrebbe invece destinato a favorire i “bassi” istinti dei bianchi pennuti odierni che numerosi si affollano sull’opera dello Statista alessandrino in attesa che qualcuno si decida a sgravarlo, di tanto in tanto, della notevole quantità di “apprezzamenti non richiesti” depositati quotidianamente!

 

Monumento funebre a Rattazzi
Nel giorno “dei Morti” gran folla si riversa al Cimitero, per recare il fiore del ricordo a parenti, amici e conoscenti. Una tomba, importante per il personaggio che rinserra e per il bellissimo monumento che lo ricopre, è oramai del tutto dimenticata. Eppure gli alessandrini dovrebbero visitare ancora quel sepolcreto, non fosse altro per riparare all’offesa fatta all’Estinto nel 1943, allorché fu atterrato un altro monumento, assai caro al nostro popolo che spesso amava scherzare per quel certo braccio teso dal dito puntato sulla via Guasco, e per le quattro “grive” (grifoni) che gli montavano la guardia intorno,
Ognuno avrà compreso che si tratta di Urbano Rattazzi, insigne statista nostro, del quale fu anche cancellato allora il nome della via, oggi restituito solo a…metà! Una figura del nostro Risorgimento, che fu a fianco di Cavour nel famoso “connubio” del 1851 e che forte oratore politico, fu più volte Primo Ministro. Ebbe grandi sostenitori e come sempre avviene, grandi avversari che lo dissero “Uomo di Novara, di Aspromonte, di Mentana e del Macinato”: insomma una specie di Menagramo!
Il suo monumento nel nostro Cimitero, è opera egregia dello scultore alessandrino Augusto Rivalta, autore tra l’altro della statua di Garibaldi in Genova. Curiosa è la storia di questo nostro ricordo marmoreo del Rattazzi che…non lo ricorda affatto! E’ noto che il Rattazzi, nel 1861 aveva preso una “cotta” formidabile per la Contessa di Solms che poi sposò a breve distanza dalla morte del marito. Chi era costei? Nientemeno che una Bonaparte, cugina di Napoleone III. Molto bella, intelligente, scrittrice, vivace anche troppo, a 17 anni, sposato il vecchio Conte di Solms, aveva aperto salotto a Parigi, ricevendo letterati, artisti e uomini politici: Daudet la disse “donna internazionale”.
Per certe sue critiche incontrò le ire dell’Imperatore (o forse la gelosia di Eugenia Imperatrice!” e fu bandita dalla Francia. Nel 1859 è a Torino, più bella che mai; Rattazzi se ne invaghì e fu ricambiato e per quanto strano, quel matrimonio fu felice. Nacque una figlia e fu chiamata Isabella Roma. Maria Bonaparte, era questo il suo nome, fu fiera del Rattazzi e continuò a dirsi “Madama Urbano Rattazzi” anche dopo la morte del marito avvenuta nel 1873, e ancora quando si risposò per la terza volta! Era rientrata nel 1874 a Parigi dove aveva riaperto salotto molto frequentato, sebbene i maligni le avessero affibbiato il nomignolo di “Chiffonet”. Per la verità era diventata proprio uno “straccetto”! Il nuovo marito, un nobile spagnolo Luigi de Rute presto la lasciò vedova per la terza volta.
Maria Bonaparte o “Madame Rattazzi” come si faceva ancora chiamare, venne a morte quasi settantenne, nel 1902: si disse volesse raggiungere il marito in Alessandria, riposa invece nel Cimitero di Aix-Les-Bains. E veniamo al monumento alessandrino ordinato proprio da Madame Rattazzi allo scultore Rivalta il quale aveva presentato diversi progetti secondo i criteri comuni: Niente da fare: “Madame” volle vedersi effigiata lei stessa in ginocchio, in atto di pregare con accanto, ritta in piedi, la piccola Isabella. Suo malgrado lo scultore dovette obbedire e invero ne uscì un lavoro perfetto come ognuno può vedere nel nostro Cimitero nel primo campo a destra.
Avvenne però che il nostro buon popolo fu urtato da quel monumento dove, per ricordare un morto, si effigia un vivo e uscì con un commento che fece allora il giro di tutta la città: “Povr’om! Anche da mort, ai sta an’su stomi!”.
Piero Angiolini 31-10-1953