Breve storia della prima ferrovia che collegò Torino a Genova [Lisòndria tra Tani e Burmia]

di Piero Archenti

 

Fu il Governo sabaudo a volere la realizzazione della ferrovia in grado di collegare Torino alla città di Genova e ne finanziò interamente la sua realizzazione. I lavori iniziarono il 13 febbraio 1845 e vennero ultimati il 18 dicembre 1853 con il collegamento delle due città per un totale di 166 chilometri.

L’intera linea fu subito costruita a doppio binario e si dovettero realizzare molti ponti, oltre trenta di rilevante importanza, fare sbancamenti e perforare gallerie con spese ingenti. Non si aspettò il completamento dell’opera per l’apertura al pubblico ma lo si fece man mano che i tratti di linea venivano completati, non si aspettava nemmeno il completamento delle stazioni e si apriva con un solo binario efficiente.

La prima tratta, di soli 8 chilometri, da Torino Porta Nuova (allora costituita da un modesto baraccone di legno e da pochi binari) a Trofarello, venne aperta il 24 settembre 1848 con una sobria cerimonia Il giorno seguente iniziò il regolare servizio pubblico con sei coppie di treni che viaggiavano tra le 7 del mattino e le 19. Già in questa tratta si dovette costruire la prima opera importante realizzando un lungo ponte sul fiume Po nelle immediate vicinanze della stazione di Moncalieri.

 

Dopo soli 4 mesi, il 15 gennaio del 1849, venne aperta anche la seconda tratta di 46 chilometri, la Trofarello-Asti. In questa seconda parte della linea si dovettero affrontare rilevanti difficoltà per l’attraversamento della zona collinare fra San Paolo Solbrito e Villafranca dove si aveva una pendenza del 26 per mille allora considerata quasi impossibile da superare. Inizialmente si procedette alla costruzione di una linea provvisoria tra San Paolo e Dusino mentre tra Dusino e Stenevasso si procedeva traghettando i viaggiatori con un omnibus a cavalli. Con questo sistema, però, il servizio era molto insoddisfacente quindi si procedette alla costruzione di un altro tratto provvisorio su un piano inclinato dove i convogli procedevano in salita con l’ausilio dei cavalli e in discesa trattenuti da carri freno. Ma anche con questo sistema, nonostante un deciso miglioramento, il servizio non era all’altezza ed inoltre risultò particolarmente oneroso per la società di gestione. Furono quindi studiate delle locomotive apposite dal famoso Stephenson che le realizzò nella sua celebre officina di Newcastle upon Tyne e che entrarono in servizio nell’agosto 1851.

Fu quindi la volta della linea Asti-Alessandria e della Novi-Arquata. Il 1º gennaio del 1850 la ferrovia arrivò a Alessandria e a Novi Ligure con l’entrata in esercizio di altri 56 chilometri e l’anno successivo, il 10 febbraio 1852, ad Arquata per un totale di 124 chilometri. Queste tratte non presentavano particolari difficoltà tranne per i viadotti nella zona di Serravalle Scrivia. Il servizio si rivelò soddisfacente sia per il pubblico – i treni impiegavano solo 3 ore e 40 minuti per coprire l’intera tratta – che per la società che vide i propri utili salire vertiginosamente.

Con la tratta successiva, la Busalla-Genova Piazza Principe, ritornarono le grandi opere. Il prolungamento su Busalla, di altri 18 chilometri, venne aperto il 10 febbraio 1853 e per realizzarlo fu necessario costruire ben otto ponti e quattro gallerie di lunghezza variabile da 508 a 866 metri. Il 18 dicembre dello stesso anno la linea venne completata con l’apertura degli ultimi 23 chilometri tra Busalla e Genova Piazza Principe.

Per il superamento del tratto appenninico i tecnici superarono se stessi. La maggiore opera fu la galleria dei Giovi, progettata dal famoso ingegnere inglese Isambard Brunel all’epoca la galleria ferroviaria più lunga del mondo (3254 metri), che richiese trenta milioni di mattoni per il solo rivestimento e che ebbe un costo pari a oltre 10 milioni di lire dell’epoca..

Fu inoltre di primaria importanza la scelta del tipo di trazione per superare il lungo percorso a fortissima pendenza da Pontedecimo a Busalla. A tal proposito un gruppo di ingegneri, tra i quali il belga Maus e il savoiardo Sommeiller, studiarono nuovi tipi di locomotive, sempre costruite dalle officine dello Stephenson, denominate poi Mastodonte dei Giovi che, costituite da due macchine accoppiate fra di loro, servivano “al traghetto dei convogli sulla rampa del 36 per mille di cui l’eguale non si ha su altre strade ferrate esercitate con locomotive”. Erano in grado di trainare treni di 130 tonnellate a 12 chilometri orari.

Per non ritardare l’attivazione della linea, la stazione di Genova Piazza Principe venne approntata con carattere provvisorio, così come era già stato fatto per quella di Torino Porta Nuova e per tutte le altre della linea. Poiché la nuova ferrovia oltre che un importante collegamento passeggeri aveva una funzione fondamentale per il traffico portuale, viene anche costruito contestualmente un allacciamento con il porto tra Genova Piazza Principe e Piazza Caricamento, quasi in sede stradale a raso, sull’odierna Via Gramsci. È proprio in quella piazza genovese che il 16 febbraio 1854 alla presenza del re Vittorio Emanuele II e del Primo Ministro Cavour, giunti con il treno reale, si tenne l’inaugurazione ufficiale della linea.

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Il ponte sul Tanaro detto della Ferrovia

Nel particolare esame di Lungotanaro San Martino e all’interno di Spalto Borgoglio, siamo giunti sul margine della line ferroviaria e del relativo ponte sul Tanaro, detto appunto della Ferrovia, nelle direzioni Torino e Milano, nonché Casale e Vercelli e poi ancora Mortara e Novara: da rilevare che subito oltre il ponte suddetto sono tuttora visibili alcune terrapieni e “lunette” relative disposti precisamente a difesa del nostro ponte nel lontano anno 1856 proprio al tempo di Cavour e Lamarmora.

E’ l’anno stesso in cui venne anche distesa all’intorno della nostra città la nuova linea difensiva con ampio giro, tosto armata con i famosi “cento cannoni” offerti in nobile gara dalle cento città d’Italia: così appunto ricorda la bella targa in bronzo esposta all’angolo della piazza del nostro Palazzo del Comando. Una linea che diremo del tutto nuova, che liberava completamente la vecchia cintura, alquanto ristretta precisamente segnata da corso Crimea, corso Cento Cannoni e oltre piazza Valfrè da corso Lamarmora sino all’incontro della circonvallazione Orti da Porta Marengo a piazza Tanaro.

Con riferimento sempre al 1856 diremo che subito al di qua del ponte ferroviario sopra ricordato ancora oggi ben visibile si presenta tra il fascio dei binari che si distendono verso Cristo una caratteristica “polveriera” dal tetto alquanto spiovente, la cui costruzione risale per certo all’anno 1856 suddetto e pertanto compresa proprio nel quadro delle opere difensive disposte allora soltanto dalla parte della ben nota “Cittadella” ma proprio all’intorno dell’intera città sui due fiumi, il Tanaro e la…sposa sua, la Bormida.

Altra “polveriera” in tutto simile come costruzione era invece situata al di sotto dei bastioni proprio dove oggi vediamo il nostro Ospedale infantile con accanto lo stabilimento meccanico Pivano & C.; da rilevare sempre su questo stesso lato che proprio sulla strada in margine ai bastioni nella direzione del cimitero, vennero disposti i cosiddetti “bagni dei soldati”, colmati soltanto in questi ultimi tempi con lo spianamento completo delle nostre opere di difesa che risalivano precisamente all’anno 1856 suddetto.

Proprio dove un tempo vi erano opere militari comprese nella cintura dei bastioni di Cavour e Lamarmora, sono ora sorti sulla strada in direzione camposanto numerosi opifici nonché costruzioni generiche ad uso abitazione. Lungo una nuova via parallela con il viale di piazza d’Armi, ecco costituirsi il cosiddetto “Villaggio dei commercianti”, che si appoggia su due strade di particolare importanza: da un lato la vecchia e movimentata circonvallazione; dall’altro il lungo viale che costituisce uno dei lati nella piazza d’Armi “nuova”, viale che proviene dal Tanaro e che scorre sul nuovo mercato bestiame detto “degli Orti“.

Da segnalare infine, in margine sul lato che conduce al camposanto, il canile municipale dal nuovo titolo di “Rifugio del cane”.

Piero Angiolini – 1967