di Piero Archenti
La lettera che pubblichiamo oggi, fu scritta molti anni fa dal Sindaco di Alessandria Nicola Basile in risposta al sig. Ettore Viviani, probabilmente nel 1957, ossia al termine del suo mandato. In quella lettera, che riportiamo integralmente così come la scrisse, il nostro sindaco Basile esprimeva il suo pensiero riguardo la permanenza dell’Arco di Trionfo sulla piazza Matteotti. Infatti, dal 1949 al 1957 (e probabilmente fino alla fine dei suoi giorni), non cessò mai di ritenere quell’Arco un vero e proprio insulto al buon gusto, insomma, un corpo estraneo per nulla confacente alla bellezza della piazza che si voleva realizzare.
Con ogni probabilità, molti alessandrini dell’epoca affiancarono il sindaco Basile in questa sua crociata nei confronti dell’Arco di piazza Matteotti, ma oggi, dopo 254 anni di “onorato” servizio, che senso avrebbe abbattere un monumento che, se non altro per anzianità di servizio, ha ormai raggiunto il diritto di “permanenza” stabile, anzi, così dove si trova svolge egregiamente il suo compito di spartitraffico, non solo, attualmente dubito assai che qualcuno ne solleciti la sua demolizione, caso mai, il suo restauro…questo sì, l’ultimo dei quali avvenuto nel lontano 1968!
Dopo tanti anni in cui il nostro Arco ha visto transitare sotto di sè ogni genere di istituzione: la monarchia prima, il fascismo poi, e finalmente il risorgere della democrazia con la fine della seconda guerra mondiale. Non solo, ma tanto per ricordare gli ultimi giorni del conflitto mondiale, sotto quell’Arco transitarono anche le truppe dell’esercito di liberazione, nel nostro caso provenienti dal Brasilera il 29 aprile 1945, quando i brasiliani sfilarono per le strade di Alessandria accolti dalla città in festa dopo un incubo durato troppo a lungo!
Nicola Basile è stato da tutti riconosciuto come un indimenticabile sindaco di Alessandria negli anni bui del dopoguerra, socialista, ricoprì questa carica dal 1947 al 1964. Sicuramente fu il sindaco più popolare della storia della nostra città, quello che meglio seppe interpretarne lo spirito, anche se non era alessandrino, infatti era lucano precisamente di Viggiano dove nacque l’8 settembre 1883 da Giuseppe un professore di educazione fisica che, bersagliere, partecipò alla breccia di Porta Pia e sua madre era una maestra.
Si iscrisse fin da adolescente al Partito Socialista e vi si dedicò anche nel lungo periodo della clandestinità. Fu perseguitato dal fascismo, subì anche aggressioni e rappresaglie, una anche ad Alessandria – dove si era trasferito nel 1904 – nel dicembre del 1922 all’uscita da scuola venne anche pestato a sangue da cinque squadristi per via delle sue idee non proprio vicine al regime. Fu il sindaco della ricostruzione del dopoguerra. Sotto la sua amministrazione vennero ripristinati i servizi essenziali e furono realizzate numerose opere pubbliche: tra cui ricordiamo il ripristino dell’acquedotto, l’ampliamento della rete fognaria, la costruzione di nuovi alloggi popolari e impianti sportivi come la piscina comunale (ora in stato di triste abbandono) e il palasport.
Ma, tornando al nostro Arco di Trionfo, ormai ci siamo talmente abituati alla sua permanenza che certamente da lassù, dove ora si trova il nostro amatissimo sindaco Basile, siamo certi che avrà un ripensamento al riguardo.
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L’arco di piazza Matteotti
Sono sempre lieto di vedere gli scritti non anonimi, ma firmati onestamente. Io detesto gli anonimi, perché non simpatici, allo stesso modo di come non mi sono simpatici coloro che mancano agli incarichi di dovere, dai consiglieri comunali ai pubblici impiegati. E sono lieto anche di rispondere a tutti, siano essi ragazzini, siano con la barba bianca, come quella del biblico Mosè.
Lieto dunque di rispondere anche al sig. Ettore Vivani, il quale, su “Il Piccolo” di sabato scorso mi prega di rimettere a nuovo “l’arco di Napoleone” e di lasciar correre se il nome non è proprio. Dice: “ I Francesi ce ne saranno grati e finirà come per quei tali che a forza di essere chiamati cavaliere o dottore senza esserlo, alla lunga acquistano di diritto il titolo”.
Per quanto si possa essere modesti cultori di Storia, non mi passerà mai per l’anticamera del cervello di commettere sia pure piccoli falsi storici. Col bruttissimo arco (il sig. Viviani dice che è bello) di piazza Matteotti, Napoleone I c’entra, allo stesso modo che io entro col rapimento di Lucia, detto dal Manzoni nei “Promessi sposi”. Per far piacere ai francesi, o a chiunque altro, non si falsifica la Storia.
Quell’arco ha origini tutt’altro che splendide o come che sia di storia. E’ un rustico coso d’ordine toscano, di qualsiasi pregio artistico, massiccio, di mattoni, senza eleganza alcuna, fatto segno ai motteggi degli Alessandrini e ingiuriato dai cani di passaggio e dai nottambuli che escono, ad ora tarda di sera, dalle osterie. Ne chiesero la demolizione il Podestà Luigi Vaccari il 23 marzo 1929 e il 26 marzo 1930; l’Automobile Club di Alessandria il 12 settembre 1949; io, quale sindaco, il 16 settembre 1949, il 20 e 26 maggio 1950, il 9 dicembre 1950, l’11 novembre 1951, il 2 luglio 1954, il 27 gennaio 1955, il 12 dicembre 1957; il sig. Pedralini il 19 giugno 1954; il sig. Ferrari il 7 dicembre 1957 e, per finire, l’intero Consiglio comunale di Alessandria, nell’aprile scorso, unanimi maggioranza e minoranza. Oggi, più che mai, l’abbattimento è necessario, perché l’arco è di inciampo al traffico moderno spaventoso e perché sommamente antiestetico. Dello stesso mio parere è l’illustre amico mio comm. Piero Angiolini, cultore della Storia di Casa nostra.
Il sig, Vivani provi a mettersi in mezzo ai giardini di piazza Matteotti: guardi l’arco, faccia il confronto proporzionale con i palazzi della fine di via Dante e di corso Lamarmora, e forse mi darà ragione in fatto di meschinità del “manufatto”, come lo chiama il Ministero della Pubblica Istruzione. Buttato giù l’arco, al suo posto verrebbe formata una elegante aiuola fiorita spartitraffico, magari luminosa e con zampilli d’acqua. E poi darebbe una meravigliosa visuale d’illuminazione a fluorescenza dal distributore dell’”Agip”, oltre via Marengo, fino in piazza della Libertà. Estetica imponente per il forestiero che viene ad Alessandria, oggi ostacolata dall’arco che, fra l’altro, non è nemmeno sull’asse mediano di via Dante. Non così per il platano del ponte Bormida. E’ il famoso albero di Napoleone, tutelato dalla Sovrintendenza delle Belle Arti.
Quell’arco, poi, non ha nemmanco un vero valore storico. Fu eretto per la piaggeria di uomini leccazampe di 191 anni fa, per un trascurabilissimo fatto di cronaca: il semplice passaggio per Alessandria di certi duchi. Ma l’arco venne eretto…tre anni dopo. Statemi a sentire.
Nel 1765 i passeggeri erano il duca Vittorio Emanuele di Savoia con la moglie Maria Ferdinanda di Spagna. Erano venuti qui per incontrarvi il principe don Filippo di Borbone, duca di Parma, il q quale si recava a Torino per accompagnarvi la figlia, promessa sposa al principe delle Asturie. Purtroppo don Filippo fu colpito dal vaiolo e morì il 10 luglio dello stesso 1765, cioè 17 giorni dopo i festeggiamenti alessandrini alla famiglia ducale. Napoleone I nascerà quattro anni dopo.
Fra i valentuomini degli alessandrini di allora, vi fu un lunghissimo tira e molla per decidere cosa bisognava fare di duraturo per dire ai posteri che un giorno da Alessandria passarono certe carrozze con certi uomini impennacchiati dentro. Discuti, ponza, pensa, tira, molla, finalmente nel 1768 (tre anni dopo) fu deciso di tirar su quel bell’affare il quale, allora, isolato, poteva sembrare carino. Ma oggi, non essendo l’arco di Tito di Roma o il trionfale di Milano, stona maledettamente in una città rifatta e moderna. E più lo sarà, quando l’arco sarà maggiormente soffocato da altre costruzioni imponenti, che certamente sorgeranno.
Il guaio forse sarà che certi uffici di Torino e di Roma, continueranno a vedere la cosa con i paraocchi della burocrazia.
Nicola Basile