Due secoli fa il fattaccio di via Milano… nulla in confronto al Coronavirus! [Lisòndria tra Tani e Burmia]

di Piero Archenti

 

Come scrive lo stesso Angiolini, il fatto fu talmente grave al punto da non meravigliare affatto che per parecchio tempo le cronache locali ne parlassero diffusamente. Leggendo la cronaca del “fattaccio”, il palazzo di cui parliamo dovrebbe essere quello di quattro piani situato in via Milano angolo via Migliara, in corrispondenza del n. civico 26 (Tigella Bella) di via Milano (1), sull’angolo di fronte al negozio di abbigliamento oggi Blukids (2).
Fu effettivamente un fatto gravissimo quello accaduto nel 1835 ma fu anche un evento provocato dalla leggerezza con cui, in quell’epoca, non si tenevano in considerazione le più elementari norme sulla sicurezza!
Infatti, con il senno del poi e soprattutto delle norme attualmente in vigore, quell’evento disastroso non avrebbe potuto verificarsi, ma si dovrebbe aggiungere che fu anche un atto di estrema leggerezza accalcarsi su per le scale, fino a raggiungere il terzo piano. Leggendo l’articolo di Angiolini meraviglia altresì che nessuno abbia considerato il pericolo di crollo causato dal peso sproporzionato degli invitati (e dei curiosi) per non parlare poi dalla presenza addirittura di una banda di musicanti, pure loro travolti nel crollo.
E che dire dell’inquilino, Conte D’Angiò, che in qualità di inquilino ma anche di Comandante della Brigata volle partecipare alla festa con “diversi” altri Ufficiali! Par di vederli quei militari in alta uniforme che si accalcano per le scale fino a raggiungere l’alloggio della sposa, al terzo piano, per esprimere i loro sinceri auguri per quel matrimonio che il “destino” non permise mai di celebrare! Leggendo la cronaca di quel fattaccio è difficile trattenere lo sgomento per quanto accaduto in quel tempo lontano, benché siano ormai trascorsi quasi due secoli da quel tragico 1835.
Per quanto sia stata una tragedia gravissima quella vissuta in Alessandria 185 anni fa tra il Tanaro e la Bormida, non riesce neppure a scalfire quanto da un anno a questa parte stiamo vivendo, e non solo in Alessandria ma nel mondo intero grazie alla convivenza forzata con il Coronavirus. Il virus che tiene sotto scacco l’intera umanità ha tuttavia un suo aspetto positivo, infatti, quella stessa umanità costretta a vivere, dal gennaio 2020, come le talpe all’interno delle rispettive abitazioni, ha messo in gioco le menti migliori per trovare una soluzione a tutto ciò.
Tanto è vero che quella stessa umanità nel breve volgere di un anno ha individuato sparsi per il mondo, scienziati e laboratori di ricerca che, bruciando le tappe (certamente non a scapito della sicurezza come qualcuno in malafede tenterebbe di insinuare) che normalmente occorrono per ottenere i rispettivi nulla osta, hanno realizzato, e in parte già distribuito a tempo di record, una serie di vaccini che i singoli Stati hanno in parte già acquistato e prenotato.
Per quanto riguarda l’Italia i primi a giovarsene, come logico, sono stati gli addetti alla sanità e successivamente proseguirà vaccinando gli 11 milioni di abitanti che hanno più di sessant’anni, a partire dai più anziani in giù. Nella seconda fase di vaccinazioni dovranno rientrare anche i lavoratori che svolgono servizi essenziali che li mettono a rischio come le forze dell’ordine, scuola, trasporto pubblico e anche le carceri.
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  • Palazzo di via Milano attualmente civico 26.
  • Negozio di abbigliamento attualmente Blukids.
  • Palazzo del Pozzo in piazzetta Santa Lucia.
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Il fattaccio di via Migliara e via Milano
Il fattaccio di via Migliara e via Milano, accadde nel 1835 e la risonanza fu tale che a distanza di un secolo ancora i nostri vecchi si raccontavano la pietosa vicenda detta dal popolo la “Strage di’ Ebrè”. Tutti i cronisti del tempo, Bordes, Prelli, Berta, ne parlano diffusamente, ed è appunto da un manoscritto del Berta che togliamo il seguente racconto non senza notare che il Berta stesso aveva la casa proprio dinnanzi al luogo dove avvenne la strage.
Il 5 giugno 1835 alle ore quattro vespertine, nella casa di Nicola Albini, isola di S. Dionigi, al N. 234 al di sopra della quinta e sesta bottega a cominciare dall’angolo di fronte alla strada dell’Oratorio dell’Annunciata (oggi Magazzini Italiani) rovinarono successivamente tre soffitti trascinando nella caduta quasi un centinaio di persone.
Tanta gente era ivi convenuta per festeggiare (e molti erano i curiosi soltanto) ad uno sposalizio ebraico che si teneva appunto al terzo piano della casa stessa. Lo sposo si chiamava Vitale Isacco e la sposa Vitale Amelia, una brava ragazza che lavorava come sarta in Cittadella per conto dei militari. Al piano di sotto della sposa abitava proprio il Colonnello della Brigata Aosta di stanza in Cittadella, il Conte D’Angiò, il quale sia come inquilino sia come Comandante della Brigata volle presenziare alla cerimonia con diversi altri Ufficiali, forse comandati unitamente a diversi soldati musicanti.
Naturalmente numerosi, come sempre avviene, i parenti e gli amici per assistere all’insolito rito, attirati forse anche dal suono della Banda. E’ appena cominciato l’allegro suono delle trombe, quando evidentemente per il troppo peso, la trave di legno di sostegno del pavimento cede di colpo, e tutti quanti finiscono insieme, sul pavimento di sotto che per l’urto ricevuto precipita a sua volta sul piano terreno. Sposi, celebrante, parenti, invitati, musicanti e curiosi sono insieme travolti e sepolti tra le macerie nel ristretto locale della bottega e soffocati dal denso polverio dei rottami.
Tra alte grida di terrore fu un accorrere di gente da ogni parte; dal Palazzo del Comando escono soldati che dispongono cordoni per tenere lontana la folla mentre volonterosi raccolgono i feriti e pietosamente ricompongono i morti. Triste bilancio: 17 morti di cui 28 ebrei, moltissimi i feriti molti dei quali rimasero per sempre storpiati. Tra i morti lo sposo, il Rabbino maggiore Levi Deveali, il Col. D’Angiò, il Cap. D’Albert e parecchi musicanti.
Da rilevare che il disastro poteva essere ben maggiore se poco prima delle nozze non scoppiava un furioso temporale che tratteneva in Cittadella diversi invitati. La sposa Amelia rimase gravemente ferita e non appena guarita lasciò per sempre Alessandria trasferendosi a Torino. Giustamente impressionata la Comunità Israelitica da allora dispose che i matrimoni dovessero avvenire non più in casa ma al Tempio come si usa oggi ancora.
Il tremendo caso attirava sul luogo per diversi giorni la gente di Alessandria e del contado che ritenne miracolati gli scampati dal disastro. Nella casa Berta sita di fronte e sotto il porticato del vicino Palazzo del Pozzo (3), in piazzetta Santa Lucia (ora Archivio Notarile) vennero riuniti gli oggetti e le masserizie ritrovate e per diversi giorni continuo fu il movimento degli scampati e dei parenti dei morti per ricercare quanto era rimasto.
Piero Angiolini 1957