di Beppe Giuliano
Cifra tonda. Capitolo 14
Gino Bartali se ne è andato nel 2000, un venerdì di maggio, il mese della Madonna (non poteva essere altrimenti per un cattolico così devoto). Il giorno 5, quello che ricordiamo per la poesia di Manzoni su un altro illustre morto la stessa data.
Ginettaccio, come lo chiamavano, è sopravvissuto quarant’anni al suo gemello di mito: Coppi-e-Bartali detto sempre (sempre!) così.
Fausto per primo con la sua maglia azzurra, in vantaggio, anche e pure troppo all’ultimo traguardo, c’è arrivato infatti ben quarant’anni prima, era appena cominciato il gennaio del 1960. Si sarà sentito solo, per così tanto tempo senza il rivale cui voleva, ricambiato, un gran bene.
Gino dietro a faticare, brontolando, spinto da un cuore talmente grande che a colpi di pedali durante la guerra salvò centinaia di ebrei, ma questo lo sapremo solo dopo la sua morte, non ci teneva a vantarsi, era la sua educazione («Il bene si fa, ma non si dice. E certe medaglie si appendono all’anima, non alla giacca»).
Di Ginettaccio, vivo, ci bastava sapere delle corse vinte, del Tour del 1948 con l’Italia a un passo dall’esplodere, e il fatto che fu lui a salvarla è un bel romanzo.
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Mio zio Pino, milanesissimo, che girava la sua città in bicicletta anche quando a farlo erano solo lui e il Mario della canzone del Jannacci interpretato da Gianrico Tedeschi in una sigla tivù, era coppiano. Forse per il comune destino della prigionia in Africa durante la guerra, magari no. Lui, uomo buonissimo, abbonato casciavit per tutta la vita che non ha mai litigato con un interista nemmeno dopo un derby perso, quando gli toccavano Coppi soffriva proprio.
Mio padre, pur cresciuto ad Alessandria, era invece bartaliano. Magari per la questione della fede religiosa, o chissà per quale motivo. Non ne abbiamo mai parlato, ed è uno degli innumerevoli rimpianti che mi son rimasti. Ricordo solo che era assolutamente convinto che la borraccia fu Gino a passarla a Fausto, e ne faceva una sorta di questione morale.
Io sono nato che Coppi era già morto e non li ho mai visti correre, ho perciò la fortuna di potermi dire coppiano-e-bartaliano, cioè tifoso di una delle più belle storie del nostro sport (e del nostro costume) nel ventesimo secolo.
Ho fatto in tempo a essere testimone della enorme celebrità di cui continuò a godere, fino agli ultimi giorni, Gino Bartali. L’ho visto passare davanti alla carovana con la sua Golf, che sovente guidava personalmente, e anche quando a bordo strada eravamo tutti o quasi nati dopo le sue ultime pedalate, l’entusiasmo popolare per lui era tanto grande quanto il suo famoso naso, la sua gloria sportiva e la sua meravigliosa umanità.
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Le storie di ‘Cifra tonda’:
Il primo e l’ultimo titolo di Kobe
Il grande balzo in alto del fantasma Ni
Tokyo e le Olimpiadi soppresse
Eravamo in centomila allo stadio quel dì
Zero match point sulla sacra erba
Un altro oro per la regina dei boschi