di Beppe Giuliano
Cifra tonda. Capitolo 12
A Sydney, Olimpiade sulla soglia del millennio, Paola Pezzo fa un’impresa straordinaria, perché già vincere una medaglia d’oro ai Giochi è per pochi, ma tornare quattro anni dopo e vincere nuovamente è davvero raro, e prezioso.
Ho potuto raccogliere i ricordi di quelle imprese grazie a Luciana Rota, giornalista, grande appassionata ed esperta di sport (non solo ciclismo ma per esempio anche l’equitazione), che ha affiancato Paola praticamente appena tagliato il traguardo di Atlanta 1996, e poi nella lunga (e non facile) preparazione di Sydney 2000, e tra loro è nato e permane un rapporto umano, di profonda amicizia, prima che professionale, lo si capisce da come le parole di una portino naturalmente alle memorie dell’altra.
Ho raccontato la storia delle due gare in ‘5 cerchi quante storie’ qui mi soffermo soprattutto sulla vittoria conseguita nell’anno che finisce con lo zero, come da tradizione dei racconti con la “cifra tonda”.
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“Ho sempre avuto le idee chiare. Se mi fissavo un obiettivo quello era. Mi piaceva fare sci di fondo, ma poco a poco mi sono innamorata anche della mountain bike. Andare ad allenarmi nei boschi, imparare a mettere la ruota dove non è pericoloso, arrampicare un po’ e scegliere le traiettorie giuste” ci racconta Paola Pezzo, dalla scelta di ripiego quando mancò la selezione nella nazionale di fondo, alla solitudine degli allenamenti nei boschi, lei di Bosco Chiesanuova (un destino nel nome del paese veronese, ai piedi dei monti Lessini, si direbbe) o alle volate con l’inseparabile Rampichino (così si chiamava la sua prima mtb) per raggiungere Verona, cuoca in una mensa con un grande sogno in mente.
Due edizioni di Giochi Olimpici, due medaglie d’oro. Quando è arrivato il primo successo, Atlanta ‘96, è scoppiato il finimondo: “Non sapevamo più come fare, per rispondere a tutte le interviste. Un successo che non mi aspettavo forse ma che ho sognato tante volte, ho fatto fatica per costruirlo. Un riscatto, una preghiera profonda che si avvera e significa tantissimo per me, per il mio paese, la mia famiglia, per mio padre, quell’uomo che mi salvò da una vita senza sport.”
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Con la fama è aumentata la voglia di vincere tutto per una che veniva paragonata a Merckx ma che aveva come idolo Coppi: “la notorietà mi ha fatto piacere fino a un certo punto, mi divertivo a sfogliare le riviste piene di foto, mi piaceva trovare le immagini di me in in gara o su un traguardo, un po’ meno dedicarmi ai servizi fotografici che mi stancavano più degli allenamenti, con i fotografi che non la finivano mai”.
Anche se Paola ama più il gesto atletico che il contorno, non le è venuta meno la passione per le belle cose: “per la femminilità, ad esempio, sin dalle prime volte negli Stati Uniti mi sono accorta che le ragazze che facevano il mio sport non badavano tanto all’immagine, invece a me piaceva, mi piaceva pitturarmi le unghie con i colori della maglia, essere a posto. Dicevo fra me e me: se a vincere è una bella ragazza tanto di guadagnato” e l’attenzione ai particolari: “era bello curare tutto, dalla bici – e avevo il mio super staff personale – all’abbigliamento, e sono riuscita ad avere la mia griffe anche lì, Primadonna by Paola Pezzo.”
Una attenzione ai particolari (e una vivacità del suo gruppo) che, secondo Luciana, la avvicina a un altro campionissimo del nostro sport come Valentino Rossi, con staff della numero uno (dopo Atlanta Paola Pezzo è stata a lungo imbattibile) organizzato a sua immagine e somiglianza, dal meccanico, al massaggiatore, all’addetto stampa, e in cabina di regia tecnica Paolo Rosola, ex professionista di ciclismo (“cavallo pazzo” delle volate degli anni ottanta e novanta), con l’esperienza del direttore sportivo di un team professionistico.
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La preparazione per Sydney è meticolosa ma non per questo facile, lei nel frattempo ha vinto qualsiasi competizione, la pressione è notevole, qualche ombra poi diradata la angoscia, per fortuna Rosola aveva messo a punto tutto. Ci si muoveva per il mondo con una monovolume che più colorata non si può e un’officina meccanica mobile, raccontano: allenamenti, gare, conferenze stampa, tabelle, alimentazione curatissima e sempre l’immancabile moka per il caffè buono da fare due volte al giorno, la pasta e il grana e “il cioccolato come premio! Ero e sono golosa, ma non si poteva sgarrare mai… solo che qualche volta me lo concedevo eccome”. Come quella volta che in Sardegna: “ricordo un periodo di allenamento durissimo nella fantastica Gallura, eravamo fuori stagione, a febbraio marzo, al posto della California abbiamo deciso di prepararci lì, coccolati come dei principi io e il mio staff, ma c’era poco da divertirsi perché facevo allenamenti durissimi, in salita, dietro motori, e un giorno per convincermi a non mollare Paolo mi promise un pezzo di cioccolato in cima alla salita, a Tempio Pausania. Solo per quello ho tenuto duro.”
Allenamenti che in vista di Sydney per Paola, da sempre nemica del fuso, cambiano pure orario: “Ho preparato quell’edizione con ancora più caparbietà se possibile. Soffrivo molto il fuso orario quando gareggiavo all’estero, così ci siamo organizzati l’ultimo mese prima di Sydney con allenamenti notturni, per abituare il mio fisico e anche la testa a fare fatica all’ora giusta in cui avrei corso la mia gara olimpica Gli ultimi tempi eravamo in ritiro a Salice Terme in provincia di Pavia e uscivamo nella notte, per sentieri, con Paolo sulla moto a farmi la luce.”
Una vittoria con meno vantaggio, quella del 2000, una trentina di secondi rispetto al minuto e passa di Atlanta, conquistata con una grinta in cui sono emersi tutto il suo amore per lo sport, il sogno olimpico, la capacità di fare fatica dalla mattina alla sera, la fede profonda (e subito la dedica a Fabio Casartelli, campione olimpionico su strada a Barcellona, morto in un terribile incidente di corsa sui Pirenei).
In questi giorni di quarantena Paola, una vita e due bei figli insieme a Paolo Rosola, sempre un grande amore per la vita all’aria aperta, pur di fare fatica stando a casa s’è presa uno scampolo di giardino e, mi dice Luciana, “lo lavora come… una Pezzo”: con l’impegno e la determinazione della “regina dei boschi”.
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Le storie di ‘Cifra tonda’:
Il primo e l’ultimo titolo di Kobe
Il grande balzo in alto del fantasma Ni
Tokyo e le Olimpiadi soppresse
Eravamo in centomila allo stadio quel dì