di Beppe Giuliano
Cifra tonda. Capitolo 10
Non hanno corso la Sanremo, tra l’altro, quest’anno. Sarebbe stata l’ultima di Gianni Mura. No, non scriverò anche io di lui, lo hanno fatto in tanti e soprattutto, banalmente, non ne sarei all’altezza.
Però lo citerò, a cominciare da quel soprannome “Vedremo” coniato da lui per Gianni Bugno.
“C’è molto pudore in Bugno, scriveva infatti Gianni Mura, e penso che il suo reiterato “vedremo” con cui ho deciso di ribattezzarlo, faccia parte di questo pudore, o discrezione, riserbo, senso della misura.”
Gianni Bugno è stato l’ultimo grande campione gentile del ciclismo, sport che considero con dolore mortalmente ferito il giorno in cui Armstrong decise di vincere a ogni costo, ribaltando popolarità, passione e fatica centenarie e creando al loro posto una specie di Pottersville dell’inganno e della ferocia, che ha tra l’altro ucciso Pantani, e da cui stiamo cercando tuttora di uscire definitivamente.
Bugno aveva classe cristallina ma non lo sapeva, non del tutto, e infatti passarono cinque anni prima che vincesse infine una grande classica, anche se nel suo palmares dal passaggio al professionismo del 1985 al marzo 1990 c’erano comunque corse che evocano negli appassionati meno giovani struggenti nostalgie: il Giro dell’Appennino (tre volte di fila) con la durissima scalata del Passo della Bocchetta, il Giro del Piemonte, la Coppa Agostoni, le Tre Valli Varesine.
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A Sfogliare Repubblica del 18 marzo 1990 sembra davvero di ritornare in un altro mondo, che però ha enorme peso su quanto viviamo oggi.
Gabriele Cagliari scrive una lunga lettera per rispondere al “dottor Gardini” su Enimont, e la forma educata non nasconde la durezza dei contenuti: “non credo siano i media il luogo più adatto per esprimere le nostre qualità di manager e di imprenditori. Questi luoghi sono piuttosto le fabbriche, i laboratori, gli uffici, i mercati dove non si parla di cose che non esistono come l’industria politica ma si parla di bilanci, di programmi, di risultati.” Pochi anni dopo entrambi si toglieranno la vita, a distanza di tre giorni l’uno dall’altro.
“L’ipotesi di superare la contesa per il controllo della Mondadori e dell’Espresso con una trattativa è positiva e fattiva.” Dichiarazione di Silvio Berlusconi circa la possibilità di giungere a una mediazione con la Cir di De Benedetti. Sappiamo quanti anni durerà invece il loro feroce scontro.
“L’Ilva rafforza la propria presenza sui mercati internazionali. Nel 1989 la caposettore siderurgica dell’Iri ha venduto all’estero prodotti per un valore complessivo di 2.500 miliardi di lire.” Chi scrive ricorda bene i giorni in cui venne a Novi a inaugurare il nuovo grande laminatoio a freddo il Presidente del Consiglio Andreotti e, pochi anni dopo, l’avvio della privatizzazione le cui conseguenze viviamo ancora.
La Dea grazie a un blitz internazionale cattura importanti boss del cartello di Medellin. Stava succedendo in quei giorni quello che molti hanno visto romanzato nelle serie ‘Narcos’.
Esce al cinema ‘I favolosi Baker’ e anche Irene Bignardi è conquistata dal fascino della “bellezza allo stato puro del viso di Michelle Pfeiffer (che sa essere stupenda e commovente anche quando il regista le fa mangiare troppa gomma americana o essere incoerentemente spiacevole)”. Ancora, “Michelle Pfeiffer è troppo luminosamente bella per non scardinare davvero cuori e equilibri.”
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Il 17 marzo del 1990 Gianni Bugno vince la Milano-Sanremo.
“E adesso forse qualcuno si morderà i gomiti, scrive il giornale. Per lo meno quelli che in Gianni Bugno, l’ eterna promessa del ciclismo nostrano, cominciavano a non credere più. Troppo fragile dentro, si diceva, troppo emotivo, incapace della grinta necessaria per comandare il gruppo, dare ordini ai propri compagni, pilotare e pilotarsi verso il successo. E invece eccolo lì spuntare solitario sul rettilineo di Sanremo, dopo una grandissima corsa, galoppata a passo di record.”
Quella del ‘90 è una Sanremo corsa col sole di primavera, che non sempre accoglie in Riviera i corridori. Bel tempo equivale sovente a vento forte, e infatti il gruppo si rompe in due ancora in Lombardia, tagliati fuori molti dei favoriti, da Fignon a Lemond a Kelly, massimi campioni stranieri del momento. Bugno scappa ai piedi della Cipressa, la salita introdotta dal patron Torriani per fare selezione già prima del mitico Poggio, ed evitare troppi arrivi in volata in via Roma. In cima al Poggio dietro di lui è rimasto il tedesco Golz, e Gianni quel giorno si inventa anche discesista per resistere e difendere con ferocia inedita i 4” di vantaggio che porta al traguardo.
Dice “ho pensato di fare la corsa da protagonista, ma senza assilli. Perché questa, delle cinque Sanremo che ho fatto, è l’unica che ho cercato di dominare e non subire. Perché ero sfiduciato dei risultati recenti, della condizione che finora non mi aveva permesso piazzamenti.”
Il bicchiere di Gianni Bugno, insomma, anche nel giorno di una grande vittoria è sempre mezzo vuoto: “E’ come se un operaio avesse vinto due miliardi al totocalcio, dice raggiante ma composto, senza l’ansia di dedicare subito la vittoria a questo o a quello, secondo vieti clichet. Eppure ne avrebbe motivo visto che la moglie Vincenzina sta per dargli l’ erede per cui è già pronto il nome: Alessio.”
Proprio il ritratto della moglie di Bugno, e il racconto del loro timido saluto dopo la vittoria, dimostra, senza bisogno di ulteriori commenti, che giornalista fosse Gianni Mura: “il suo incontro con la moglie Vincenzina, che sembra una ragazzina, la frangetta di capelli mossi sugli occhi molto grandi e vivi, a me ogni volta fa venire in mente la canzone di Viola-Jannacci. “Complimenti”, solo questo lei gli ha detto. C’è molto pudore in Bugno.”
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Le storie di ‘Cifra tonda’:
Il primo e l’ultimo titolo di Kobe
Il grande balzo in alto del fantasma Ni
Tokyo e le Olimpiadi soppresse
Eravamo in centomila allo stadio quel dì