Domande in tempo di guerra [Il Flessibile]

di Dario B. Caruso

 

 

Siamo in guerra.

Almeno così ci è stato detto.

Dunque comportiamoci di conseguenza, cerchiamo di fare tesoro del tempo, delle risorse e dei pensieri.

Quando si è in guerra salgono – credo – alla mente domande che in tempi normali non avrebbero senso.

Il perché non mi è chiaro ma credo anche di sapere che le domande non avranno risposta.

In tempi normali un settantenne ha il dovere di non sentirsi vecchio; deve essere autonomo, fare ginnastica, attività culturali, frequentare tornei di burraco, scuole di danza latino americana, cinema, possibilmente un colpo di sesso ogni due tre mesi.

In tempo di guerra il settantenne non può fare nulla di tutto ciò, ha come unica prerogativa quella di stazionare davanti allo schermo televisivo o al PC (di cui ha tenuto un corso regolare all’Università della terza età, corso che gli ha lasciato solamente la conoscenza dell’accensione della macchina e un attestato di partecipazione).

La mia domanda è quale stato d’animo ha il settantenne?

In tempi normali ad uno studente si richiede capacità di organizzazione, studio, serietà, impegno. E soprattutto autonomia.

In tempo di guerra l’insegnante non può chiedere nulla di tutto ciò poiché il primo a non essere autonomo è proprio egli stesso: sapersi districare nei meandri della tecnologia in cui gli adolescenti sguazzano come nelle loro tasche.

La mia domanda è come fare?

In tempi normali i cronisti cercano disperatamente notizie, sfrucugliano nel torbido, spesso nel becero, pur di sfornare titoli che possano destare interesse, per un punto di audience o qualche centinaia di copie in più.

In tempo di guerra i cronisti comunicano solo ciò che è lecito comunicare.

La mia domanda è le direttive di palazzo collimano con le direttive dei caporedattori?

In tempi normali una messa del Papa rappresenta un momento di preghiera comunitaria, unifica le genti e i popoli, diventa un momento di riflessione che passa così superficialmente pur nella sua grandezza.

In tempo di guerra la messa del Papa – tralasciando il messaggio pastorale – diviene un kolossal, scene suggestive, telecamere e luci piazzate con cura maniacale, inquadrature cariche di pathos.

La mia domanda è per quale motivo la Chiesa non stanzia denaro per favorire la cura dei feriti?

Ci hanno detto che siamo in guerra.

I miei nonni mi raccontarono della guerra, quella del Quaranta.

Anche in quel caso l’Europa ebbe la sventura di essere protagonista e anche in quel caso ci furono vincitori e vinti.

Ascoltare quelle storie mi faceva immaginare scenari lontani, nemici invisibili, falsi amici, canti partigiani che narravano di montagne e fiori rossi.

La guerra di oggi è forse più agevole da vincere?

Non ci sono generali ma primari, non soldati ma infermieri, non elmetti e fucili ma mascherine e disinfettanti.

Il vero problema è che non abbiamo nessuno a cui porgere domande.

Quindi addio risposte.