© Danilo Arona 2020
Tra Franco “the Voice” Rangone e il sottoscritto intercorre una decade, intesa come dieci anni di differenza. Il sottolinearlo all’inizio di un articolo che dovrebbe limitarsi a celebrare la trascorsa serata di giovedì 6 febbraio che lo ha visto protagonista al cinema teatro Kristalli, ha un suo peso specifico e un bel mix di ragioni. Perché Franco è anche, e soprattutto, un uomo-memoria, tanto quanto canta o suona il basso e pure quando scrive, perché restano (e resteranno) pietre miliari i due volumi degli scorsi anni da lui firmati in team con Ugo Boccassi, dedicati ai musicisti alessandrini dall’anno zero al 1986 Noi e la musica e (Io), lui, gli altri e la musica. Due facce della stessa medaglia, che dal mio inesistente punto di vista non posso far altro che corroborare. È vero: se suoni e se hai suonato per vicine contrade (giusto per capirci), entri, ti piaccia o meno, a far parte di una Storia con la maiuscola e di quest’ultima, complici gli “anni come giorni volati via” (citazione facile, dai…), diventi tuo malgrado esperto. Poi è tua prerogativa farne o meno un “mestiere”.
Per quel che mi riguarda, Franco è un pezzo di colonna sonora della mia vita. Da ragazzino, per quanto infatuato di Beatles e British Invasion, io andavo a vedere i musicisti locali e amavo per contrappunto ascoltare quelli di generazioni precedenti perché la diversità di età era in quell’ambito, e lo sarà sempre, una forma necessaria di arricchimento. E va da sé che, per chi come me, intendeva andare a calcare i palchi da balera, dovevi tenere ben presente un mondo “di prima” rappresentato, che so, da Tony Bennett, Dean Martin, Frank Sinatra, Nat King Cole & Co (gli storici crooner tra musica leggera e jazz) i cui corrispettivi alessandrini si chiamavano Angelo Pautrè, Gino Prandi e, appunto, Franco. Orchestre come gli Sprint, i Baronetti, i Corsari e i Musici, in piena attività nonostante lo sgomitare del “beat”. E io “imparai” la musica “di prima” frequentando alla rinfusa il Circolo Alessandria (I Grigi), il Martorelli, l’ENAL degli Orti e le feste patronali, e di tanto incrociavo Franco, che allora, con I Musici, si chiamava Ragona per esigenze discografiche e per non essere confuso con il cugino Roberto “Al”, che faceva e fa ancora il suo stesso mestiere.
Va da sé che poi la vita ti travolga, facendoti deragliare qua e là, ma è assodato e in parte inspiegabile che mentre invecchi ti avvicini, culturalmente e mentalmente, a quella generazione antecedente. Così che capita anche, più volte nel caso di Franco, di incrociarsi su qualche palco o in serate occasionali; che so, al Club House dal compianto Adriano Brocanello, dove si rinfrescavano alcune celeberrime hit del periodo Cantuma Lisondria degli anni ’70, o in qualche numero estemporaneo con lui e la sua storica spalla chitarristica Roberto Vergagni.
Amatissimo in ogni dove, Franco, rinfrescando l’amata tradizione dei “Quartet” o dei “Quintet” che lo hanno accompagnato nei decenni, dopo gli Stoneboys ha creato un organico coi fiocchi che è quello con cui è esibito il 6 febbraio ai Kristalli, ovvero: Giorgio Penotti al sax e flauto, Fabrizio Trullu al piano e tastiere, Stefano Profeta al contrabbasso e Paolo Franciscone alla batteria. Musicisti di rigoroso impianto jazzistico che, quando si lasciano andare a inevitabili improvvisazioni, è un sommo piacere ascoltare.
Ma veniamo alla serata in oggetto le cui emozioni sul palco della Sala Kubrick sono state sul serio troppe per essere qui degnamente raccontate. In primo luogo vedere il Rangone commosso – credetemi, stavo in prima fila – alla constatazione che la sala non era piena, ma di più, in quanto c’è stata gente, arrivata all’ultimo, che ha pagato per esserci e stare in piedi. E subito non solo il cantante, ma pure l’eccellente intrattenitore che, vagando sul filo dei ricordi e delle canzoni, strappava più di una risata giocando la famosa carta dell’alessandrinità, va da sé aggiornata al 2020.
Qui però mi tocca una piacevole deviazione perché, al di là dei musicisti, Franco era affiancato dalla bella e brava Erica Gigli, donna-spettacolo a 360° perché canta, recita e intrattiene con identico talento (ma alla fine ci torno…). E finalmente due ore di canzoni, cantate e suonate alla grande e scelte in un repertorio live che vanta sessant’anni di vita dato che il nostro stava sul palco anche per festeggiare i suoi ottanta, portati magnificamente: da Nat King Cole a Sinatra, da Lelio Luttazzi ad Arigliano, da Gershwin all’Harold Harlen di Somewhere Over the Rainbow (rievocata nella clamorosa versione di Angelo Pautrè Splende l’arcobalengo – non è un errore di battitura… – e al nome di Angelo un vera emozione ha percorso la platea scioltasi in un lungo applauso), per passare per forza di cose dalla parentesi mandrogna con Gianni Fozzi e una travolgente versione di Crapula Blues. Due ore che filano e che sembrano mezz’ora e alla fine standing ovation e tutti in piedi ad applaudire.
Che dire? Averne di Franco Rangone, anzi fa ch’et n’abi, e averne ancora di serate così, ma su questo fronte per qualche mese Alessandria è garantita. L’appuntamento del 6 febbraio era infatti la seconda proposta della bella rassegna Tanto di kappello – Giovedì in musica organizzata da Ale Camera e Paolo Pasquale e seguiva la serata inaugurale del cantante Massimo Torchio; e arriveranno in un piatto ricco in cui ficcarsi: Utopia Band il 27 febbraio con un concerto dedicato alla musica di Augusto Daolio, l’amico Dado Bargioni con le sue ultime canzoni e una superband il 26 marzo, lo stupendo bluesman Marcello Milanese il 23 aprile e il misterioso spettacolo multimediale, ma sempre all’insegna della musica live sul palco, Overlook Hotel Alessandria, scritto da Ale Camera ed Erica Gigli. E siccome ci torniamo su quest’ultima, stupenderrima figlia d’arte di papà Claudio, mi va pure di ricordare che la vedremo e la sentiremo come corista nel concerto di Milanese.
Bene, qui giunti, torniamo per simmetria sull’amico Franco per ribadire una tesi che da anni porto avanti: Alessandria è una città di meraviglie artistiche e provate a smentirlo. Uno dei suoi tanti misteri: tanto grigia e spenta appare in superficie e ribollente e geniale poco più sotto, al punto che la stagione Tanto di Kappello presenta “soltanto” eccellenze alessandrine. Oh Za!, risponderebbe Frank.