di Cristina Bargero
“La moda non è qualcosa che esiste solo negli abiti. La moda è nel cielo, nella strada, la moda ha a che fare con le idee, il nostro modo di vivere, che cosa sta accadendo”.
Le parole di colei che, dopo aver trascorso l’infanzia in un istituto, divenne la stilista che diede una nuova interpretazione al concetto di femminilità. e che rappresenta ancor oggi un’icona per chi segue il glamour, Coco Chanel, sono rivoluzionarie come colei che le pronunciò, e indicano il nesso profondo esistente tra la moda e l’intera società.
Le pagine di Vogue, di Elle, di Cosmopolitan e di Marieclaire, giusto per citare talune delle riviste più note, indicano le nuove tendenze del fashion, must have della stagione e le ultime creazioni dei maggiori stilisti. Sfogliandole, talora, sospiriamo, consapevoli di non poterci permettere quei capi per ragioni di fisico e di portafoglio.
In realtà la moda è più democratica di quanto in un primo momento appaia. Infatti ce n’è per tutte le tasche: si passa dalle boutique delle griffe tanto prestigiose quanto inaccessibili per i comuni mortali, alle sartorie e ai sarti di quartiere, ai classici negozi di abbigliamento che perlopiu ormai differenziano le tipologie di offerta, agli outlet e ai temporary store, alle catene quali Zara e H&M, amate dalle ragazzine ma non solo, alle bancarelle dei mercati.
Ma la moda è sempre più l’arte del riciclo.
È sufficiente riesumare i vecchi capi, anche delle nostre mamme, ritirati in soffitta o in qualche baule che dopo qualche anno tornano in auge: è il caso dei cappotti oversize, dei pantaloni a zampa, simbolo hippy degli anni’70, dei gonnelloni alla caviglia, dei jeans a vita alta, che puntualmente ritornano.
O talora si possono riutilizzare i filati di maglioni oramai dismessi per ottenere nuovi modelli o plaid multicolori, come facevano le nostre nonne. Insomma un caso classico di economia circolare domestica.
Il fatturato dell’industria dell’abbigliamento ammonta secondo i dati di Confindustria Moda a più di 55 miliardi di euro, ripartito tra 45.842 aziende che danno lavoro a quasi 400.000 persone.
L’export italiano dell’abbigliamento, considerando anche il tessile, vale più di 13 miliardi, quello piemontese arriva a sfiorare il miliardo. Sono i territori di Biella e Vercelli a mantenere un’elevata specializzazione nel settore, nonostante la crisi del distretto biellese e della Valsesia – che, pur perdendo aziende ed occupati nel tempo, è riuscito a puntare su qualità e innovazione nelle fibre e nei tessuti-con aziende di rilievo internazionale come Loropiana, INCO e Barberis Canonico.
In Provincia di Alessandria sono 208 le aziende operanti nel tessile/abbigliamento, per un totale di quasi 27.200 addetti. Le aziende con un fatturato superiore ai 10 milioni di euro sono tuttavia solo 3. Si tratta di un settore che, considerata la sua tipologia e l’importanza di design e creatività, potrebbe avere connessioni più strette con il distretto orafo di Valenza.
Ma a margine di queste considerazioni economiche non si può che concordare con la scrittrice statunitense Erica Jong: “Che sia benedetta la moda che ci mantiene volubili e leggere, anche quando vorremmo essere profonde.”