Giovedì 24 ottobre alle ore 17,00 ultimo appuntamento del 2019 del progetto “Letture in Biblioteca“, con la presentazione del libro di Francesco Roat dal titolo “Beatitudine. Angelus Silesius e il Pellegrino Cherubico” presso la Sala Bobbio della Biblioteca Civica “Francesca Calvo” di Alessandria in piazza Vittorio Veneto, 1.
Fabrizio Priano, presidente dell’Associazione Culturale Libera mente, commenta: “Francesco ROAT, insegnante di materie letterarie e scrittore ci presenta il suo ultimo lavoro con il quale ripercorre il pellegrinaggio spirituale di un grande mistico tedesco del 1600, medico, poeta e sacerdote, Johannes Scheffler, più conosciuto con il nome di Angelus Silesius, italianizzato in Silesio, e il suo ”capolavoro, “Il pellegrino cherubico”, ritenuta l’opera di poesia religiosa più vivace del Seicento”.
Francesco Roat, nato a Trento nel 1950, è insegnante di materie letterarie nella Scuola Secondaria e svolge attività di consulente editoriale. Dopo aver iniziato a scrivere su due giornali della propria regione è passato quindi a collaborare con testate nazionali: «Avvenimenti», «Cafè letterario di Alice», «il manifesto», «Il Mucchio selvaggio», «Liberal», «L’Indice», «L’Unità».
Ha pubblicato i testi narrativi: Tra-guardo (Argo 2000), Una donna sbagliata (Avagliano 2002), Amor ch’a nullo amato (Manni 2005), Tre storie belle (Travenbooks 2007), I giocattoli di Auschwitz (Lindau 2013), Hitler mon amour (Avagliano 2014) – ed i saggi: L’ape di luglio che scotta. Anna Maria Farabbi poeta (LietoColle 2005), Le Elegie di Rilke tra angeli e finitudine (Ed. alphabeta 2011), La pienezza del vuoto. Tracce mistiche negli scritti di Robert Walser (Vox Populi 2012), Desiderare invano. Il mito di Faust in Goethe e altrove (Moretti&Vitali 2015), Il cantore folle. Hölderlin e le Poesie della torre (Moretti&Vitali 2016), Religiosità in Nietzsche. Il Vangelo di Zarathustra (Mimesis 2017) e Beatitudine. Angelus Silesius e «Il pellegrino cherubico» (Ancora 2019).
BEATITUDINE
Angelus Silesius e il Pellegrino Cherubico
L’ultimo saggio di Francesco Roat ‒ Beatitudine. Angelus Silesius e Il pellegrino cherubico (Àncora ed.) ‒ intende essere una guida per i lettori disposti a ripercorrere il pellegrinaggio spirituale compiuto dal grande mistico tedesco Angelus Silesius (Breslavia 1624 – ivi 1677) che fu medico, poeta e non da ultimo sacerdote dopo essersi convertito dal luteranesimo al cattolicesimo. Suo capolavoro, Il pellegrino cherubico, è l’opera di poesia religiosa più vivace del Seicento. Un testo composto di componimenti lirici, epigrammi e aforismi, dai quali emerge una sintesi di tutta quanta la mistica cristiana tedesca: da Meister Eckhart a Jacob Böhme. Negli scritti silesiani vengono sottolineate l’essenzialità di praticare l’amore, l’urgenza del distacco da ogni brama egoica e l’opportunità d’una accettazione piena/serena degli eventi. Arricchisce il saggio di Roat un’antologia di 200 aforismi silesiani, in un’inedita e puntuale traduzione.
“Intento del mio saggio è far conoscere un personaggio assai poco noto, specie ai lettori italiani”, ha detto Francesco Roat a Letteratitudine, “ovvero Angelus Silesius (1624-1677), grande poeta e mistico di lingua tedesca, autore del capolavoro intitolato: Il pellegrino cherubico. Si tratta d’un maestro spirituale che è stato in grado di creare un’opera eccelsa sia dal punto di vista letterario che religioso e da cui emerge una sintesi magistrale di tutta quanta la mistica cristiana tedesca: da Meister Eckhart a Jacob Böhme. E ribadisco: “poeta”, giacché la poesia ‒ grazie alla sua allusività e alla sua espressività metaforica e immaginifica ‒ permette di dire l’indicibile, mediante una parola che va oltre ed è altra rispetto a quella della razionalità, della filosofia e della scienza.
Per Silesius compito dell’uomo non è migliorarsi o divenire altro rispetto a sé, bensì il prendere consapevolezza dell’identità tra lo spirito individuale e quello universale: divino. Secondo il Nostro inoltre ‒ come per tutti gli autentici mistici di ogni epoca e latitudine ‒ nulla va desiderato e di niente si deve andare in cerca; eppure proprio a causa di ciò molto si realizza. Tuttavia, paradossalmente, qualunque cosa si ottenga o non si ottenga, va (o dovrebbe andare) tutto bene egualmente. Non a caso egli auspica il distacco (o, detto in termini buddhisti, il non-attaccamento) quale via previlegiata per giungere alla serenità dell’anima, prendendo le distanze da ogni tipo di ambizione/volizione, specie quella relativa a qualsivoglia obiettivo spirituale.
Siamo alla totale rinuncia egocentrica, che diviene pienezza accogliente e beatitudine, grazie alla quale il nostro pellegrino può permettersi di pronunciare una sentenza provocatoria: “Io dico che nulla muore”. Così l’equanimità o serena indifferenza costituisce la qualità che è propria del vero mistico, capace non già di visioni estatiche ma di “dimorare nel presente” senza preoccuparsi del domani e di abitare senza angoscia sia la felicità che l’infelicità. Ancora, di contro all’idea tradizionale di trascendenza, che implica l’orientamento spirituale rivolto a un Dio ultraterreno, ecco il suo invito a cogliere il sacro nell’immanenza: “Fermati, dove corri? Il cielo è dentro di te: Se cerchi altrove Dio, tu perdi lui sempre più”.
Quello di Silesius nei confronti del lettore è dunque un invito alla quiete e al silenzio: cifra universale che caratterizza non solo la modalità meditativa dei mistici d’Occidente, ma pure di quelli d’Oriente. Silenzio in quanto umiltà, quindi. Silenzio quale fiducioso abbandono di ogni pretesa e/o richiesta a Dio (o alla vita, per chi a Lui non crede). Silenzio infine quale accoglienza non discriminante, quale accettazione della realtà così com’è ed apertura al suo mistero; in modo da poter vivere ogni circostanza ‒ anche quella apparentemente più negativa/avversa ‒ come occasione per una salutare metanoia, per una trasformazione e crescita spirituale”.