Francesco Petrarca è spesso considerato l’iniziatore dell’Umanesimo: vagava per l’Europa in cerca di antichi documenti nelle biblioteche dei monasteri e dei palazzi, nella speranza di ridare alla luce meraviglie e sapienze perdute: sul suo esempio, tutto il periodo fra la fine del Medioevo e l’inizio del Rinascimento fu costellato di continui ritrovamenti di scritture arcaiche. Nel 1444, nel sito dell’anfiteatro romano di Gubbio, si rinvennero sette lastre di bronzo; questi reperti – denominati “tavole eugubine” – risalivano al III secolo a.C. ed erano scritte in antica lingua umbra, e solo nella prima metà del secolo scorso Giacomo Devoto (il celeberrimo glottologo noto a tutti gli studenti quantomeno per aver collaborato alla stesura del dizionario Devoto-Oli) riuscí a interpretarle e tradurle: fra le diverse prescrizioni religiose che riportavano incise, diversi accenni al vino testimoniano come questa bevanda fosse prodotta e apprezzata in Umbria fin da tre secoli prima della nostra Era.
I Latini ben conoscevano il vino umbro e lo lodavano per l’alta qualità (segnatamente quello della zona di Todi), anche se bisogna dire che questa Regione non fu affatto fra le piú importanti né fra le piú rappresentative per la produzione vitivinicola in età romana. Fu il Rinascimento a scoprire le potenzialità dei vini di Orvieto, le cui prime produzioni risalivano al tempo in cui gli Etruschi avevano scavato le grotte tufacee per la vinificazione e che furono sempre piú apprezzati con l’andare del tempo: addirittura Pellegrino Artusi (nel suo fondamentale manuale di cucina e buona tavola del 1891) cita l’Orvieto come unico vino in tutto il suo libro – eccettuati quelli impiegati esclusivamente in cottura nelle preparazioni ma non poi posti sulla mensa –.
Il Novecento fu un secolo curioso per l’enologia umbra, che pare segnata di volta in volta dalla moda di un solo vino: la prima parte del secolo era dominata ancor sempre dall’Orvieto, subito dopo la metà entrò in voga il Torgiano, sul finire fu la volta del Sagrantino. In realtà l’Umbria ha moltissimo da dire, e la sua produzione vinicola è estremamente variegata.
La zona dei colli perugini si avvale della presenza di due corsi e d’uno specchio d’acqua (i fiumi Tevere e Topino e il lago Trasimeno). Vi si producono sia rossi che bianchi e rosati, e tutti sono caratterizzati da un medio corpo e da una certa freschezza: bianchi e rosati facili e piacevoli da bere resi interessanti da profumi minerali e sapidità notevole, rossi poco tannici adatti alla cucina di lago; solo intorno a Torgiano il Sangiovese garantisce invece vini in netta controtendenza rispetto al resto della zona: cupi e polposi, questi rossi di personalità e di struttura sono in grado anche di lunghi periodi d’invecchiamento.
La zona dei Colli Martani e delle Terre del Sagrantino è nota soprattutto per l’inarrivabile espressività del Sagrantino di Montefalco, prodotto in una ristrettissima area: profumato di confetture e sciroppi di frutti neri e di spezie piccanti e ferro, è uno dei vini piú tannici al mondo; ne esiste anche una piccola produzione in versione di passito, memorabile come finepasto. Nella stessa area si producono anche il Montefalco Rosso (Sangiovese e Sagrantino) ed il Montefalco Bianco (Grechetto e Trebbiano). Nei Colli Martani si realizzano buoni vini di ogni tipo, ma la punta d’eccellenza è senza dubbio costituita dal Grechetto di Todi; senza nulla – eccetto il nome – condividere col Grechetto tout court, è invece la stessa uva che in Emilia-Romagna è detta Pignoletto: dà vini profumati di fiori bianchi e agrumi, innervati da sapidità e freschezza di straordinaria vitalità.
Ottimi anche i bianchi da Trebbiano Spoletino, variante autoctona dei Trebbiano estremamente connessa al territorio: i vini risultano molto freschi e persistenti, con aromi floreali e vegetali.
La zona dell’Orvietano e dei Colli Amerini è a sua volta molto variegata e ricca.
L’area che va dal Lago di Corbara ad Amelia è soprattutto terra di rossi da Sangiovese. Man mano che ci si avvicina all’areale storico di Orvieto, i rossi – pur molto interessanti (specie in Provincia di Terni) e oggetto di meritate rivalutazioni negli ultimi anni – cedono il posto ai tipici bianchi da uve Grechetto e Trebbiano Toscano. Il terreno vulcanico-argilloso e il clima umido spazzato da venti rende questa terra particolarmente adatta alla produzione di bianchi dolci attaccati da muffa nobile: si tratta di un tipo particolare di appassimento in pianta, durante il quale una speciale muffa attacca gli acini e conferisce alla bevanda aromi particolarissimi; anche la versione solo abboccata e soprattutto quella secca raggiungono livelli qualitativi straordinarî, fino ad arrivare a una certa reinterpretazione (con aggiunta di Chardonnay e tecniche enologiche borgognone) che – ad apprezzare il genere – è da alcuni considerato il miglior bianco d’Italia.