Epilogo dell’estate di Adriano [Lettera 32]

Giuliano Beppedi Beppe Giuliano

 

(seconda parte)

(qui la prima parte)

 
Nel 1974 a giocare la Davis in Sudafrica c’eravamo andati. Era il Sudafrica dell’apartheid, perciò escluso dalla maggior parte delle manifestazioni sportive, fuori dalle Olimpiadi, fuori dai mondiali di calcio. Andammo e perdemmo pure, dopodiché l’India si rifiutò di giocare la finale e in quell’edizione l’insalatiera andò, a tavolino, proprio al Sudafrica.

Anche il Cile nel ‘76, dopo avere battuto nella fase “americana” i sudafricani (contro cui pure il Messico s’era rifiutato di giocare), arriva in finale per il rifiuto dell’Urss di affrontarlo. Rifiuto che ha un precedente, non tennistico, tragico e grottesco.
“Risaputo che a causa di sollevazione fascista deposto governo legale unità nazionale ora in Cile rivela atmosfera sanguinaria terrorismo e repressioni VIRGOLA Stadio nazionale pensato come sede partita trasformato da giunta militare in campo di concentramento luogo di esecuzioni di patrioti cileni STOP Sportivi sovietici non possono al momento giocare nello stadio macchiato di sangue di patrioti cileni STOP”.

Questo il telegramma dei sovietici che si rifiutarono di andare a giocare a novembre ‘73 lo spareggio per i mondiali di Germania nello stadio di Santiago in cui ancora erano trattenuti (e torturati) i prigionieri politici vittime del “golpe” di Pinochet dell’11 settembre di quell’anno (provvisoriamente trasferiti poco prima del calcio di inizio della partita che non si giocò). Così, anche per il volere della Fifa, i cileni batterono il calcio d’inizio della “partita fantasma”, senza gli avversari in campo, e a tocchettini arrivarono fino in porta, e il gol assurdo sarebbe toccato al grande bomber, Carlos Caszely, militante comunista, uno che Pinochet lo odiava (a quanto pare ricambiato). Caszely infine la toccò al capitano Valdés, figlio di operai e lui pure militante di sinistra. Gol. Fischio finale. Tragico e grottesco.

In quello stesso 1973 noi avevamo perso un’altra finale di zona della Davis, contro la Cecoslovacchia di Jan Kodes. È l’anno in cui per un futile contrasto con la federazione la maggior parte dei professionisti boicottò Wimbledon, dove infatti vinse proprio il ceco in finale contro il sovietico (meglio, come dice il cognome, georgiano) Alex Metreveli. Panatta e Bertolucci vennero squalificati e in doppio schierammo la coppia Maioli-Marzano. Due (ottimi) giocatori di circolo. Forse avremmo potuto mandare in campo il vecchio Pietrangeli, che era ancora tra i primi duecento al mondo a quarant’anni.

Epilogo dell’estate di Adriano [Lettera 32] CorriereAl 4

Il commissario tecnico (anzi, come si diceva: il capitano non giocatore) di Coppa Davis nel 1976 è Nicola Pietrangeli. Nato a Tunisi, figlio di una nobile (almeno a sentir lui) russa, venuto a Roma a tredici anni quando “durante la guerra i francesi ci cacciarono.” Racconta: “diventai molto popolare a piazza di Spagna. Ero Er Francia. Non capivo una parola di italiano, solo russo e francese.” Sogna di fare il portiere, diventa il più forte tennista italiano (e uno dei più eleganti playboy in uno sport che ne annovera parecchi). Vince al Foro Italico nel 1957 (e l’unica edizione degli Internazionali non disputata a Roma: nel ‘61 a Torino per festeggiare i cento anni dell’Unità d’Italia). Vince al Roland Garros nel 1959 e nel ‘60. Lo stesso anno arriva in semifinale a Wimbledon (dopo di lui nessun italiano ci riuscirà più).
Disputa, perdendole con l’Australia, le prime finali di Coppa Davis a cui si qualifica l’Italia, nel ‘60 e nel ‘61. Pensa di essere eterno, da noi vince ancora oltre i trentacinque anni, finché all’inizio degli anni settanta non incrocia proprio Panatta:
“«Al termine della partita Adriano viene a trovarmi negli spogliatoi e dandomi del lei mi dice: La saluta tanto papà. Perché?, gli faccio io. È Ascenzio. Oddio, ma tu sei Ascenzietto.»

Epilogo dell’estate di Adriano [Lettera 32] CorriereAl 5

Panatta è il primo campione popolare con la racchetta, “sventolando «l’Unità» e «il manifesto» sotto gli occhi di Mario Belardinelli, ex maestro del Duce e grande estimatore del segretario missino Giorgio Almirante, contribuisce senza rendersene conto, almeno non sul momento, a introdurre anche nel mondo del tennis lo spirito progressista e trasgressivo degli anni Settanta.”

Belardinelli è l’allenatore dei quattro ragazzi della squadra di Davis, quello che li ha cresciuti, l’unico di cui si fidano (il rapporto con Pietrangeli non è buono).
Ascenzio Panatta, il papà di Adriano, era il custode del Circolo dei Parioli in cui giocava Nicola Pietrangeli.

A fine luglio la Consulta liberalizza le trasmissioni radiofoniche private via etere in ambito locale. Di fatto, regolarizza la possibilità che trasmettano quelle che all’epoca chiamavamo “radio libere”.

Epilogo dell’estate di Adriano [Lettera 32] CorriereAl 3

C’è un bel libro, scritto da Roberto Paravagna, simpatico personaggio che è transitato parecchio anche nelle nostre tivù locali, nonché una delle voci più belle che io abbia mai sentito, si chiama “Amo la radio, perché…” e come dice il sottotitolo racconta la “Nascita dell’emittente locale in provincia di Alessandria” con molte interviste ai protagonisti di quell’era pionieristica (e indimenticabile).

Già nel 1975 era nata qui Radio Alessandria International, e lo racconta nel libro un altro prestigioso collaboratore di corriereal.info come Danilo Arona. Poi Radio Cosmo, e le altre emittenti che tanti ricordiamo.

“Il 7 dicembre a Milano – scrive Enrico Deaglio – la tradizionale prima della Scala è occasione di scontri per le strade, attorno al Teatro. Ne fa una radiocronaca-fiume la radio vicina al movimento. Si chiama Radio Popolare. Una delle grandissime firme del giornalismo dell’epoca, Camilla Cederna (in incognito) fa la radiocronaca dall’interno del teatro.”

Anche Alessandria ha per un breve periodo una radio libera vicina al movimento, Radio Veronica (che prende il nome da una delle storiche “radio pirata”, quelle che trasmettevano negli anni sessanta dalle acque internazionali, a cui tra l’altro si deve buona parte della diffusione della musica “beat” britannica da noi).
Chi trasmetteva all’epoca si presentava, di solito, con il solo nome di battesimo ai radioascoltatori. Diceva sostanzialmente ciò che voleva, e metteva la musica che voleva. Molte radio ospitavano, senza filtri, le telefonate degli ascoltatori.
Un episodio di libertà sociale senza eguali, e tutt’altro rispetto al “liberi tutti” dei social media che viviamo oggi.

Le polemiche sull’andare in Cile sono, come sempre succede da noi, veementi.In prima fila “la sinistra” e, tra i giornali, Repubblica.

Il Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio dei ministri del governo Andreotti (il terzo della serie, un monocolore DC senza maggioranza parlamentare che si basa sulla inedita non sfiducia dei comunisti e resterà in carica ben due anni) è il suo fedelissimo Franco Evangelisti, quello che oggi ricordiamo per “A Fra’, che te serve?” Ha la delega allo Sport. Cerca di farsi coinvolgere il meno possibile ma, come il suo partito, in fondo vede di buon occhio la nostra partecipazione alla finale.

Dato che il governo si regge sulla formula della “non sfiducia”, il parere del PCI è di fatto decisivo per sbloccare il viaggio dei giocatori di tennis in Cile, alla ricerca della prima vittoria italiana in Coppa Davis, dopo anni di speranze e delusioni. E il PCI, infine, griderà “forza Italia” (letto ora, sembra una sorta di “tout se tient”)…

Pirastu (Ignazio, responsabile del dipartimento per i problemi dello sport nella Direzione del Partito Comunista Italiano) e Berlinguer – scrive Dario Cresta-Dino in ‘Sei chiodi storti (vite inattese)’ – decidono di incontrarsi e si ritrovano uno di fronte all’altro nell’ufficio del segretario alle Botteghe Oscure. Adesso come faccio a uscire da questa situazione?, domanda Pirastu. «Io sono il responsabile politico» risponde Berlinguer «e mi prendo la responsabilità di questa decisione. Tu sei il responsabile dello sport, trova il modo di comunicarla agli organi istituzionali e alle persone coinvolte nella vicenda». Un bel modo per dirmi arrangiati, racconterà Pirastu al giornalista della «Gazzetta dello Sport» Marco Pastonesi: «Tre giorni dopo il vertice con Berlinguer partecipai a un dibattito televisivo con Pietrangeli e Orlando Sirola.
Li presi tutti in contropiede. Se fossi nei vostri panni, dissi, mi batterei per andare a Santiago. È vero, se giochiamo esiste il pericolo di tributare un omaggio involontario a Pinochet, ma se alla fine si deciderà di andare, grideremo tutti forza Italia».

(la prossima settimana: si vince indossando le magliette rosse)