La guerra del grano, l’Europa, la pasta e il ricorso ‘alessandrino’ [Centosessantacaratteri]

10 a Enrico Sozzetti, zero agli anonimi del web! [Le pagelle di GZL] CorriereAldi Enrico Sozzetti

 
La ‘guerra del grano’ che ha infiammato l’Alessandrino sembra un ricordo. Le tensioni, anche forti, tra le associazioni di categoria che hanno visto contrapposte da un lato la Coldiretti e dall’altro Confagricoltura e Confederazione italiana agricoltori si sono apparentemente stemperate. Ognuno in realtà continua ad andare per la propria strada. Come ha dimostrato la recente reazione della Coldiretti che ha parlato di “soddisfazione per il no del Tar (Tribunale amministrativo regionale) del Lazio alla richiesta di sospendere il decreto per l’etichettatura d’origine del grano utilizzato nella produzione della pasta”.

Nel silenzio delle altre organizzazioni di categoria, è solo la Coldiretti a prendere una posizione netta.Hanno avuto la meglio – dice Roberto Paravidino, presidente provinciale Coldiretti Alessandria – gli interessi dell’informazione rispetto a quelli economici e commerciali. Questa sentenza mette in evidenza l’importanza dell’etichettatura d’origine per le produzioni agroalimentari e per questo continueremo la battaglia per ottenere l’etichettatura obbligatoria anche per il grano tenero coltivato in Piemonte”. Poi si legge così sul comunicato stampa: “D’altronde, ben l’81 per cento degli italiani chiede maggior trasparenza su quanto porta in tavola. Con la decisione assunta dal Tribunale amministrativo regionale del Lazio viene bocciato, quindi, il ricorso dei pastai”. Leandro Grazioli, direttore di Coldiretti Alessandria aggiunge: “È corretto che i consumatori sappiano cosa stanno acquistando e se in quel determinato pacco di pasta è presente o meno grano canadese trattato in preraccolta con il glifosato, proibito sul grano italiano. Si tratta di una battaglia di civiltà a tutela dei cittadini, della biodiversità, del lavoro degli imprenditori agricoli e dell’economia del territorio”. Da febbraio 2018 entrerà così in vigore l’etichettatura d’origine obbligatoria “che consentirà di sostenere le produzioni Made in Italy e che punta a contrastare le speculazioni che stanno provocando il crollo dei prezzi del grano al di sotto dei costi di produzione”.

La guerra del grano, l’Europa, la pasta e il ricorso ‘alessandrino’ [Centosessantacaratteri] CorriereAl

Ma è davvero risolutiva la decisione del Tar? I dubbi non mancano innanzitutto perché l’economia mondiale e i processi delle produzioni industriali non si governano a colpi di sentenza e della magistratura, di qualunque genere essa sia. E poi c’è un problema di competenza giuridica e rispetto nelle norme. Parola di Vito Rubino, ricercatore in Diritto dell’Unione europea al Dipartimento di Giurisprudenza, scienze politiche, economiche e sociali (Digspes) dell’Università del Piemonte Orientale. Fra gli incarichi, Rubino è anche responsabile scientifico del progetto “Comparative analysis of the systems of rules for food safety in Italy and China”, Fondazione Italia-Cina; è componente dei gruppi di lavoro del ‘tavolo tecnico del Tartufo’ del Ministero delle Politiche Agricole in qualità di esperto della legislazione dell’Unione europea. È autore del volume, appena pubblicato, “I limiti della tutela del ‘Made in’ fra integrazione e ordinamenti nazionali”. Cosa c’è che non va? “L’ordinanza del Tar del Lazio che ha rigettato la sospensiva sul decreto ‘origine grano’ – risponde Rubino – è veramente lunare: a partire dalla dimensione (striminzita) delle motivazioni su una questione colossale, alla banalità degli argomenti utilizzati (come il sondaggio on line). C’è di che scoraggiarsi”. Quindi annuncia di avere tutto pronto per “inoltrare una denuncia di infrazione alla Commissione dell’Unione Europea”.

Scusi professore, vuole dire che il Tar non ha rispettato le regole? “Voglio dire che ha ignorato l’argomento giuridico e ha guardato al solo bilanciamento degli interessi. E poi il sondaggio, frutto di ventimila risposte, su una nazione da sessanta milioni di abitanti, e senza vincoli tecnici”. Allora i consumatori come fanno a sapere cosa esattamente c’è nella confezione di pasta? “In discussione non c’è il diritto a conoscere la tracciabilità del prodotto, bensì le norme per farlo. L’indicazione di origine è sancita dal regolamento europeo numero 1169. L’indicazione di origine è quella doganale, relativa all’ultima trasformazione doganale. Solo una norma derogatoria può introdurre una differenza specificazione sulla materia prima e può farlo solo una norma europea. Gli Stati – aggiunge Rubino – non hanno la competenza per farlo. Purtroppo i Tribunali italiani vanno dietro alla vulgata e non applicano le norme. È tutto un deragliare verso l’anarchia, mentre a Bruxelles dormono”. Quindi, per conoscere legittimamente da dove arriva la materia prima utilizzata per la pasta è necessario modificare la legge, ma solo seguendo percorsi legittimi.

Intanto però il grano italiano non è lontanamente sufficiente per la produzione industriale nazionale di pasta e dei prodotti semilavorati e derivati. E l’importazione è quindi indispensabile.