Amos über alles all’ospedale di Alessandria. E intanto anche Gazzolo lascia… [Centosessantacaratteri]

10 a Enrico Sozzetti, zero agli anonimi del web! [Le pagelle di GZL] CorriereAldi Enrico Sozzetti

 

 

Poco personale? Ci pensa Amos. Aumentano le attività? Ci pensa Amos. C’è un lavoro che qualcuno non vuole fare? Ci pensa Amos. Per l’azienda ospedaliera di Alessandria la risposta a una parte dei problemi del personale è tutta riassunta da una parola: Amos. Ma chi è?

L’Azienda multiservizi sanitari e ospedalieri, sede a Cuneo, è una società consortile a responsabilità limitata i cui soci sono l’azienda ospedaliera ‘S. Croce e Carle’ di Cuneo con il 34,93 per cento, l’Asl Cn1 (33,4 per cento), l’Asl di Asti (25,05 per cento), l’Asl Cn2 (4,18 per cento), l’azienda ospedaliera ‘Santi Antonio e Biagio e Cesare Arrigo’ di Alessandria (2,44 per cento). Il presidente di Amos è Oddone de Siebert, torinese, 39 anni, laurea in Filosofia e Master in Business Administration, è esperto di organizzazione aziendale con numerose esperienze come consulente nel settore pubblico e privato. E all’interno del ‘Comitato per l’esercizio del controllo analogo’ di Amos siede Francesco Arena, direttore amministrativo dell’azienda ospedaliera ‘Santi Antonio e Biagio e Cesare Arrigo’.

Amos über alles all’ospedale di Alessandria. E intanto anche Gazzolo lascia… [Centosessantacaratteri] CorriereAl

Allora, cosa succede nell’azienda ospedaliera del capoluogo, cui fa capo il grande hub sanitario che comprende le province di Alessandria e Asti con oltre seicentomila abitanti? Che la direzione generale guidata da Giovanna Baraldi, nonostante alcuni rallentamenti e blocchi temporanei, nei mesi scorsi, dovuti a richieste di chiarimento da parte di alcune organizzazioni sindacali, ha progressivamente ampliato l’ambito di attività del personale di Amos. Oggi il servizio di ‘movimentazione dei pazienti’ all’interno dei reparti, dal Pronto Soccorso e dalle sedi diagnostiche, è interamente affidato alla società cuneese il cui personale costa meno perché, seppure svolga attività in ambito sanitario, vede applicato un contratto differente e, inoltre, i costi sono ‘Iva esente’. Da giugno, e per un anno (solito meccanismo degli incarichi rinnovabili per la gestione di servizi ‘in house’), l’azienda ospedaliera versa ad Amos un canone mensile di 29.000 euro (348.000 euro all’anno) per il servizio che comprende anche la gestione della camera mortuaria.

Ecco perchè l'Ospedale di Alessandria merita di diventare IRCCS CorriereAl

Con la delibera 359 del 13 ottobre scorso, Amos riesce a fare un altro balzo in avanti. Il nuovo blocco operatorio ha determinato un incremento del numero di interventi e quindi la necessità di potenziare l’organico. “Aumentando il numero di Oss (operatore sociosanitario) si garantirebbe l’espletamento delle mansioni, ma si richiederebbe a questo profilo l’espletamento solo di una parte delle attività per cui è stato formato” si legge sulla delibera. Le parole sono di Lorella Gambarini, responsabile della Direzione delle professioni sanitarie (Dipsa).

Ecco allora la decisione di ricorrere ad Amos per una serie di attività fra cui il trasporto dei malati, pulizia e disinfezione (apparecchi, arredi, vestiario), raccolta dello strumentario con decontaminazione e invio alla centrale di sterilizzazione, trasporto materiale. Alla società basta poco per formulare la richiesta e alla direzione dell’azienda ospedaliera altrettanto per dare il via il libera, da dicembre a maggio, all’ampliamento dell’utilizzo del personale dietro al versamento di un canone mensile di 17.000 euro. Amos incassa così complessivamente 46.000 euro al mese (552.000 euro su base annua), consolida la presenza all’interno dell’ospedale e sicuramente guarda oggi con un occhio diverso al progetto di azienda unica (fusione fra Asl e Aso ‘Santi Antonio e Biagio e Cesare Arrigo’) caldeggiato fortemente da Domenico Ravetti, consigliere regionale e presidente della Commissione Sanità della Regione.

Un, due, tre. Sanità, chi non scappa c’è [Centosessantacaratteri] CorriereAl 1

Può infatti fare gola il mercato di una azienda che potrebbe gestire diversi ospedali, oltre ad Alessandria. E chissà che proprio ad Amos stia guardando anche Giovanna Baraldi. L’incarico alla direzione generale dell’azienda ospedaliera alessandrina scade con il mese di maggio del 2018, ma a Torino c’è chi dice che Baraldi potrebbe rimanere in Piemonte con un altro incarico.

Quel che è certo è che l’ospedale delle eccellenze (ampiamente riconosciute in ambito scientifico e a livello nazionale) qualche colpo lo sta perdendo. Le nomine ai vertici di alcune Strutture complesse (ovvero i Reparti) non hanno visto arrivare professionisti esterni ‘di scuola’, come vengono definiti, bensì ‘aiuti’ o medici ospedalieri provenienti dall’Asl Al. Scelte legittime e nel pieno rispetto della norma, per carità, che hanno però anche segnato (tranne rari casi, come per la chirurgia pediatrica) una inversione di tendenza rispetto alle precedenti gestioni che hanno puntato su direttori provenienti da altre importanti realtà ospedaliere (liguri, lombarde, emiliane).

Intanto c’è un altro medico che lascia. È Diego Gazzolo, da anni direttore della Neonatologia – Terapia intensiva neonatale, che con il mese di novembre ha assunto lo stesso incarico al Policlinico SS. Annunziata di Chieti. Ora è in aspettativa dall’azienda ospedaliera ‘Santi Antonio e Biagio e Cesare Arrigo’ per un periodo di sei mesi.

Sotto questa direzione, non mancano le luci, ma anche le ombre. Le prime sono quelle, per esempio, del nuovo blocco operatorio aperto dopo anni, oppure i diversi interventi di riordino interno di reparti e ambulatori, fino all’acquisizione completa della proprietà del Centro di riabilitazione ‘Borsalino’. Le ombre sono invece le contraddizioni nel rapporto con il territorio e con la stessa università (perché non è stato ulteriormente rafforzato il rapporto rispetto alla ricerca di specialisti e professionisti?), anche se non mancano i casi positivi come il centro di ricerca sul mesotelioma (ma tutto sta filando davvero liscio?), oppure il (faticoso) percorso imboccato verso il riconoscimento di Irccs (Istituto di ricovero e cura a carattere scientifico).

Ma sono proprio le contraddizioni a emergere in modo crescente. Quelle che rischiano di minare alla base proprio il legame di collaborazione e fiducia con la realtà locale. Un esempio è quello della Fondazione Uspidalet, strumento indispensabile per rastrellare quelle risorse che l’amministrazione pubblica non riesce ad assicurare. Eppure anche su questo fronte nel recente passato non sono mancate tensioni e piccoli screzi fra direzione aziendale e presidenza, sempre smussate le prime e superati i secondi finora nel nome di un interesse pubblico che dovrebbe essere al di sopra di ogni interesse individuale. Dovrebbe.