Per iniziare il mio pezzo odierno mi verrebbe da scrivere “Quel pasticciaccio brutto di via San Lorenzo, parafrasando il titolo di un famoso romanzo scritto nel 1946 da Carlo Emilio Gadda.
Cosa avrà mai di così infimo la (ex) bella via San Lorenzo di Alessandria per meritare dei paroloni tanto esagerati?
Facciamo un passo indietro.
Da bambino accompagnavo spesso mia mamma in giro per la città, per il quotidiano passeggio e per la spesa. Di solito Via San Lorenzo – la via del mercato – era il luogo che raggiungevamo e percorrevamo durante i giorni feriali; era la strada principe per una ricca spesa. E dico ricca spesa per il motivo che in quella strada si poteva trovare di tutto e sicuramente non affermo ricca per le potenzialità dell’allora misero borsellino della mia famiglia.
Via San Lorenzo non era di certo la meta preferita delle passeggiate domenicali. Per quelle ci aspettavano Corso Roma, Via Umberto I… pardon, Via dei Martiri, Piazzetta della Lega e pochi metri oltre i loro confini. Via Dante era considerata periferica e fuori mano e non ancora la bella strada che Aureliano Camurati e pochi altri commercianti – ricchi di idee, diversi anni dopo – erano riusciti a valorizzare e a rivitalizzare.
Via San Lorenzo era un’oasi di belle cose, di colori, di profumi, di suoni e di voci. Ad ogni passo si apriva la porta di una bottega, di un bar, di un commestibile, di un fruttivendolo. Per mille motivi la realtà era totalmente diversa da quella odierna e molti riescono a comprendere bene quel che dico senza troppe spiegazioni. Era un mondo a parte, rispetto al resto della città e diverso dalla stessa strada di oggi. Perfino i mendicanti, a quel tempo, avevano fantasia ed erano ricchi di ingegno!
Ne ricordo uno che, seduto per terra, teneva davanti a sé un purillo – il suo cappello – dentro il quale quattro o cinque topolini bianchi, evidentemente addomesticati, camminavano e davano sfoggio di sé come fossero stati all’interno della pista di un circo. Da quel cappello nessuno di loro pareva avere l’intenzione di scappare. Erano talmente docili e mansueti che il signore in questione li maneggiava e li spostava a piacimento.
Poi c’era un uomo – di certo un balengo – che ti veniva dietro e facendo il verso di un cane incazzato ti “azzannava” il polpaccio con le dita… non so se in seguito a quegli scherzi sia mai stato preso a calci da qualcuno.
E poi ne ricordo un altro ancora che con la bocca produceva il rumore di una gomma – da automobile o da camion – che di botto si forava; quel forte sibilo faceva saltare, per lo spavento, le ignare persone a lui più vicine.
Percorrendo via San Lorenzo – sia pure con la fantasia – mi sono perso nei ricordi mentre la meta doveva essere il Mercato Coperto. Il mitico luogo che di bello forse non aveva molto ma che tutti gli alessandrini ricordano con estrema nostalgia per una sorta di fascino misterioso che emanava.
Non era imponente e neppure artistico sotto il profilo architettonico. La facciata era senza fronzoli e mostrava un muro liscio e senza modanature, con un ingresso senza tanti orpelli. L’interno era fatto di innumerevoli banchi di vendita posti tra colonne di cemento armato che sorreggevano la copertura. La bellezza che accoglieva i clienti o i visitatori era una cosa magica. Tanti banchi con le più svariate e stravaganti merci alimentari a portata di tutte le tasche.
Profumi di formaggi, di salumi, di stoccafisso, di generi posti in salamoia, aleggiavano in ogni dove… e poi sacchi con chiocciole che cercavano vie di fuga, aringhe affumicate, salumi e prosciutti, baccalà sotto sale e baccalà a mollo in grossi recipienti, dissalato e già pronto per la cucina. E un mare di colori mescolati in maniera armonica con tuti i suoni che la gente col suo vociare e con le sue attività produceva.
Al mercato coperto sembrava di essere nel Paese delle Meraviglie… o al Paese dei Balocchi. E poi, dulcis in fundo, da quel luogo si poteva entrare direttamente nei locali dei Magazzini UPIM che, come tutti ben sanno, aveva ingresso su Corso Roma.
Un bel dì la mala politica locale ci ha voluto mettere il becco. Non ricordo affatto la colorazione di quella Giunta ma di questo piccolo particolare poco mi importa. Le cavolate restano tali da qualunque parte politica vengano partorite.
Voglio ricordare uno scritto che narra del Pasticciaccio brutto di Via San Lorenzo; era apparso un paio di anni fa proprio su queste stesse pagine.
Antonio Silvani, il carissimo amico Antonio, con il mio piccolissimo contributo, aveva già espresso tutto il suo sentire sull’argomento che tratto oggi ed invito tutti i lettori ad andare a rileggere.
I commercianti, in seguito alla chiusura del mercato coperto per demolizione e rifacimento a nuovo dello stesso, sono scomparsi dall’antica sede di Via san Lorenzo; alcuni di essi sono stati costretti, giocoforza, a cercare altre sistemazioni. Altri hanno abbassato la guardia, abbandonando per sempre il commercio…
A lavori ultimati il Titanic… pardon, il vecchio Mercato Coperto – ormai rinnovato – si è dimostrato solamente una nave che affonda e della nave si vede – infatti – una sorta di prua nell’attimo della collisione con quella che dovrebbe essere la facciata dell’immobile.
La facciata–iceberg.
Chi è quello stolto che avrebbe potuto credere al ritorno dei vecchi commercianti in quel luogo?
Naturalmente i politici, come al solito, fanno i danni ma poi sono gli altri a pagarne le spese: la gente che lavora… la cittadinanza.
Di questi politici ne facciamo volentieri a meno!!! E sono sicuro di parlare anche a nome di Antonio Silvani.
È di questi giorni la notizia che sia in atto un’iniziativa tendente a riportare vita presso quei vituperati locali.
Mi unisco al coro di tutti coloro che amano Alessandria e che vogliono rivitalizzare questo luogo chiamato ancora Mercato Coperto. Personalmente mi auguro davvero che possa tornare pieno di gente che compra e che vende. Ma sono certo che seppure con maggior luce che in quei lontani anni ’50 non tornerà più a brillare come allora.
Sperando ancora una volta di sbagliarmi cedo la parola a chi ha qualcosa da aggiungere a questi miei pensieri.