Chi (di voi alessandrini) legge Umberto Eco? [Il Superstite 309]

Arona Danilo nuovadi Danilo Arona

 

Torna in libreria con il consueto acume, stuzzicante e provocatorio, l’amico Riccardo Motta, antropologo di razza che ci ha regalato in passato due testi fondamentali di cultura “fluviale” quali Tànaro, Bormida e l’inconscio collettivo di Alessandria e Vicolo Fiume Tànaro.

Questa volta Riccardo in uno stile metanarrativo declinato all’imperfetto pone al centro della sua nuova indagine un argomento che in altre mani potrebbe dimostrarsi quanto mai scivoloso e che nelle sue ha invece il pregio di diventare soave: il rapporto tra gli alessandrini e Umberto Eco, più i suoi scritti che l’uomo o lo studioso in sé. In un’appassionante quest che si legge come il periglioso diario di bordo di un ricercatore lanciato sulle tracce di una verità inscalifibile, due sono i poli attorno ai quali ruotano dilemmi e gustose ipotesi di risposta: la prima, che segue sviluppi e derive della frase ormai consegnata al mito dei “pochi clamori fra Tànaro e Bormida” (in qualche modo riconsiderata e parzialmente superata dallo stesso Eco in un “numero molto speciale” del 2001 della rivista Nuova Alexandria); la seconda, a porsi il dubbio che gli alessandrini, soprattutto loro fra gli italiani, primeggino tra coloro che hanno comperato alcuni dei più famosi titoli di Eco per degradarli a ruolo di soprammobili mai letti ma comunque nobilitanti per l’occhio del visitatore di passaggio (Il pendolo di Foucault per certe scuole di pensiero quella fine avrebbe fatto…).

Ne scaturisce un viaggio assai gustoso, e nuovo nel suo genere, nei meandri di quel umberto-eco-pendolopianeta ancora un po’ misterioso, nonostante tutto, che è l’alessandrinità con passaggi illuminanti di cui alcuni meritano proprio la citazione. Pag. 84: … ad Alessandria era una sorta di greve compressione. La vista della città intristiva a partire dal degrado delle vie centrali dove si avvertiva un cumulo di eventi nefasti. I canoni di locazione commerciale astronomici, i mancati avvicendamenti dopo la chiusura di alcune botteghe storiche e l’apertura di altri negozi su cui sospendevo ogni giudizio, e infine un calo generale dei consumi in centro, dovuto alla proliferazione dei supermercati e degli outlet anche in periferia e nei dintorni. Uno scenario postmoderno desolato. Che non era tutto. Perché occorreva infatti menzionare la nostra nuova Corte dei miracoli. Cioè l’arrivo di molti disperati…”; e poco dopo:… bisognava fare i conti ancora una volta con il carattere proverbialmente passivo, timido, schivo, diffidente, invidioso, pigro e catatonico dei miei concittadini. Intorpiditi di fronte all’abbruttimento progressivo della loro città e costretti a contemplare i frutti più recenti di quell’alessandrinità stigmatizzata per tempo da Eco… che ci aveva dato a intendere che l’alessandrinità era quasi una specie di seconda ombra che non scompariva mai. Peggio della solitudine…”; e ancora, a pag. 114: “… Alessandria era in effetti una città catatonica che però ogni tanto si rianimava parlando di sport. Viveva quindi di calcio giocato ma soprattutto chiacchierato. Adorava i suoi Grigi… e i tifosi locali erano contenti anche così. Amavano i Grigi perché in fondo rispecchiavano Alessandria. Niente di fenomenale, molta incostanza e tante sinfonie incompiute. Come appunto le numerose promozioni in serie B fallite negli anni…”.

Oh, sicuro, ce ne sono di argomentazioni da soppesare e da discutere. E ce ne sono anche per me, quando in una sorta di sotterranea – anche un po’ improponibile – contrapposizione tra il compianto professore e me, Riccardo così controbatte agli antichi assenti clamori: “… mi era parso di intuire dai vari scritti di Danilo Arona, che di storie e di leggende se ne intagliava sicuramente più di me e forse anche del professor Eco, come gli alessandrini alimentassero invece una sorta di bulimia mitologica e fossero in fondo un popolo di affabulatori, dai pescatori di prede giganti catturate nel Tànaro, fino agli automobilisti che avvistavano fantasmi notturni intenti all’autostop tra la città e Marengo…”.

Eco UmbertoOvvio che prendo posizione, ma partendo però dal più sopra citato intervento di Eco sulla bella rivista edita da Boccassi, uno stupendo e geniale elzeviro che, riassunto superficialmente, vede Eco tornare sulla vexata quaestio così: “… non è vero che Alessandria non avesse storie o leggende che potevano renderla appetibile. Semplicemente non aveva mai saputo o voluto sfruttarle…”. E più in là, quasi in conclusione, un invito che non lascia dubbi: “Alessandrini, non abbiate paura delle leggende, quando non inducono alla superstizione”.

Adesso, per carità, non mi passa proprio per la testa di aprire polemiche (anche perché esiste il veto per un decennio almeno da parte dello stesso Eco), ma mi muovo nel gradito solco tracciato dallo stesso Motta, ovvero: “… io non m’intagliavo tanto di leggende quanto proprio di superstizioni, che poi alla fine erano e sono le credenze, neanche troppo popolari, nella magia e in quell’irrazionale sconfinante nel soprannaturale in grado di influenzare il vissuto quotidiano. Mi ricordavo ad esempio come sino a non troppi anni prima, Alessandria fosse una delle capitali italiche della cartomanzia, della lettura dei tarocchi e dello spiritismo; che fosse anche la città in cui Paolo Toselli aveva fondato il CERAVOLC, Centro di Raccolta Voci e Leggende Contemporanee; la città a pochi chilometri dalla quale ancora si avvistavano (sullo Scrivia e a Retorto) le dame bianche in grado di fluttuare sull’acqua; e infine la città da cui era partita la tradizione, ancora attualissima, dei festeggiamenti di Halloween in chiave di carnevalesco travestimento horror…”.

Passato imperfetto, appunto. Ah, già che ci siamo, a tutti un buon anno. Che poi, pensandoci bene, siamo usi festeggiare in modo del tutto superstizioso… Il libro di Riccardo reca per titolo Chi leggeva Umberto Eco?, Nuova Trauben, Torino, 2016. Non mancatelo.