Quando, più o meno un anno fa, la Cgil lanciò la raccolta di firme per la richiesta di una moderna Carta dei Diritti universali del lavoro, capace di porsi come vero e proprio nuovo Statuto dei Lavoratori, e decise di percorrere la strada dei referendum abrogativi, non furono pochi a storcere il nasco, e a sorridere. Anche a sinistra.
Oggi però, un anno dopo, quell’iniziativa ha conquistato pienamente la scena politica e sociale, e rischia di essere una vera e propria ‘bomba ad orologeria’ per l’attuale centrosinistra che, se la Consulta fra pochi giorni dovesse dichiarare ammissibili i tre referendum (abolizione jobs act e ritorno dell’articolo 18, cancellazione dei voucher, ritorno alle garanzie per i contributi dei lavoratori delle ditte che subappaltano lavori), dovrà scegliere, in sostanza, tra elezioni anticipate (che ‘disinnescherebbero’ i referendum) o appunto un’altra consultazione referendaria ad altissimo rischio, dopo la recente dèbacle sulle riforme.
“Queste però sono questioni di tattica politica che a noi interessano poco, anzi nulla”, sorride Tonino Paparatto, segretario della Camera del Lavoro di Alessandria. “A noi preme raggiungere l’obiettivo che milioni di lavoratori, con le loro firme, hanno mostrato di condividere, e che crediamo stia a cuore alla maggioranza degli italiani: riportare all’interno del mondo del lavoro un sistema di regole e garanzie che siano espressione di civiltà, e consentano a questo paese di guardare con fiducia al futuro. Perché, badate bene, la Cgil guarda avanti e non indietro: lo Statuto dei Lavoratori del 1970 è stato uno strumento straordinario, ma era figlio di quel mondo, di quel tessuto produttivo, sociale e culturale. La nuova Carta dei Diritti guarda all’Italia del 2017, e dei decenni a venire, e chiede garanzie e rappresentanza per chi si muove nel mondo del lavoro che conosciamo oggi: dipendenti, ma anche precari, contratti a progetto, partite Iva”.
Proviamo allora a farci spiegare un po’ meglio di cosa si sta parlando, e cosa potrà succedere nel corso del 2017: con un occhio rivolto, ovviamente, anche alla situazione del mondo del lavoro di casa nostra.
Segretario Paparatto, se lo sarebbe mai aspettato, un anno fa, tutto questo clamore, e la Cgil di nuovo al centro della scena?
(sorride, ndr) Al centro della scena noi vogliamo rimetterci i lavoratori italiani, non la Cgil: cancellando in primo luogo la vergogna dei voucher, e abrogando anche quel jobs act che, alla prova dei fatti e dei numeri, non funziona. Del resto che il rilancio dell’economia possa passare attraverso alla eliminazione o drastica riduzione dei diritti di chi lavora fa parte di un’ideologia iper liberista che sta portando l’occidente al naufragio. Questo, sia chiaro, non vuol dire che si possa tornare indietro, tout court: l’Italia del 2017 non ha più molto da spartire con quella degli anni Settanta, è cambiato tutto, a partire dalle modalità della produzione. E altri cambiamenti, inevitabili, verranno. Il punto non è quindi ‘ingessare’ il sistema, o portarlo indietro nel tempo, ma modernizzarlo nella direzione di un lavoro sempre più dignitoso, e con garanzie per tutti: i dipendenti, ma anche i liberi professionisti a partita Iva, i contratti a progetto e ogni altra forma di lavoro attuale o futura.
Voi chiedete che l’articolo 18 venga non solo ripristinato nelle aziende sopra i 15 dipendenti, ma esteso a tutte le realtà sopra i 5 dipendenti: non è un po’ troppo?
No, assolutamente. La piccola e media impresa è sempre stata l’ossatura dell’economia italiana, ed è sacrosanto che chi lavora in questo comparto possa farlo in condizioni di uguali garanzie rispetto ai lavoratori delle aziende più grandi. Il che, ovviamente, non significa tutela ad oltranza dei ‘lazzaroni’, ma fare in modo che tutti possano lavorare in condizioni degne, con serenità, senza il terrore di poter rimanere disoccupati il giorno dopo. Credo che la situazione del mondo del lavoro di oggi la conosciamo tutti: e gli imprenditori, quelli più avveduti almeno, sono i primi ad affermare che l’abolizione dell’articolo 18 non ha portato nessun beneficio, anzi.
E adesso, segretario Paparatto?
Aspettiamo prima di tutto che la Corte Costituzionale si pronunci, ormai manca poco: se i nostri referendum, come credo, saranno approvati, credo che gli italiani saranno chiamati ad esprimersi nel giro di qualche mese, comunque entro l’estate. A meno che, naturalmente, il governo e la maggioranza parlamentare non decidano di recepire (senza trucchi o maquillage: nella sostanza vera) le nostre richieste. A noi importa poco francamente quale sarà la strada: l’importante è che sia raggiunto l’obiettivo.
C’è anche una terza ipotesi però: elezioni politiche anticipate, e referendum in naftalina…
Ipotesi che non dipende da noi, e di cui nel caso prenderemmo atto. Ovviamente questo posticiperebbe solo la questione, che torneremmo a riproporre con forza al nuovo esecutivo, qualsiasi esso possa essere. I diritti dei lavoratori saranno comunque uno dei temi fondanti del dibattito in questo paese, perché data la situazione non può essere altrimenti.
Ecco, appunto: buttiamo uno sguardo allo scenario segretario: che 2017 si aspetta?
(sospira, ndr) Complicato. E’ lo scenario internazionale ad avere molte incognite, dal nuovo possibile asse tra Russia e Stati Uniti, al Medio Oriente, al ruolo della Cina, e appunto della nostra Europa. L’Italia sta lì dentro, in questo contesto, e ha in più tutte le specificità non troppo positive che conosciamo. In realtà non va tutto male, per fortuna. Alcuni segnali di ripresa, sia pur ad intermittenza e diversa di comparto in comparto, nel 2016 l’abbiamo riscontrata. Accanto a questa, però, troppe chiusure, troppe storie di imprese in affanno, e di lavoratori sempre più precari. La Cgil ha fatto, e cercherà ancora più di fare, la sua parte fino in fondo: e vorrei sottolineare che, anche se l’iniziativa referendaria ci ha visti muoverci in autonomia, su tutto il fronte del mercato del lavoro la collaborazione con gli altri sindacati confederali, Cisl e Uil, è stata ed è molto forte: penso al rinnovo dei contratti ad esempio, dai metalmeccanici al pubblico impiego.
Parliamo dell’alessandrino: qui cosa succederà? Ci sono segnali che facciano sperare in una ripartenza, dopo anni davvero complicati?
La provincia di Alessandria, nella sua articolazione in diversi distretti, ha al suo interno un po’ tutti gli elementi della nostra economia. C’è una forte tradizione industriale, che per fortuna continua ad essere un asset importante, e ha una vocazione all’export che le ha permesso di ‘reggere’, anche in questi ultimi anni. Ha poi fortissime peculiarità e vere eccellenze, di cui deve tornare ad essere pienamente consapevole: penso al distretto orafo, alla Borsalino e a tutto ciò che quel marchio storico ha rappresentato, e può tornare a rappresentare, sia pur in chiave moderna. E poi la forza del tessuto turistico ed enogastronomico, ma anche artistico e culturale (dalla Cittadella a Marengo, a Pelizza da Volpedo) di cui parlo da quando sono arrivato qui, ormai qualche anno fa: tutte potenzialità che, messe adeguatamente in rete, e valorizzate, possono rappresentare occupazione, sviluppo, creazione di ricchezza diffusa. A meno che, naturalmente, non si sia sostenitori rassegnati della decrescita felice. Personalmente credo che la decrescita sia sempre infelice, e che l’alessandrino abbia invece le qualità per puntare ad una evoluzione del suo tessuto economico, che vada però di pari passo con una piena tutela, salvaguardia e anzi estensione dei diritti lavorativi e sociali. Una bella scommessa, lo so: ma ci dobbiamo provare.
Ettore Grassano