di Pier Luigi Cavalchini
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Proprio così “C’è l’acqua…ragazzi…. arrangiamoci…” . Deve essere stata questa la prima considerazione che fece il sindaco Francesca Calvo tra il dicembre del 1994 e il gennaio del ’95, appena dopo una delle più grandi alluvioni della città di Alessandria. Probabilmente in un salone della Prefettura, molto meno chiassoso di quello della notte fra il 25 e il 26 novembre scorsi, ha maturato l’idea che se aspettava che la Regione si muovesse, che lo Stato – nelle sue varie articolazioni – facesse qualcosa di concreto e che le varie “autorità amministrative idrauliche” dessero indicazioni chiare sul da farsi, sarebbe stato un disastro per tutti.
Certo, “ci copriranno di denaro” (come effettivamente successe, ottenendo più di mille miliardi a fondo perduto solo per le opere pubbliche locali e quasi mille per i risarcimenti a “pubblici” e “privati”) “ma temo che il livello di rischio sia ancora alto se non facciamo qualcosa”. Scartate le “aree di laminazione”, troppo complesse da chiedere per le solite lungaggini burocratiche e perché “costerebbero troppo”, scartati improbabili canali paralleli o “scolmatori” di varia sezione… restano gli interventi più semplici e diretti: innalzamento – dopo rifacimento – di tutti i ponti e rialzo adeguato delle difese spondali… “Vero… probabilmente ci metteremo a posto noi in città e qualche rischio in più lo avranno i residenti nelle zone a est e a ovest del capoluogo…”, ma non si può fare diversamente. “E poi speriamo, anzi – riprendendo il titolo – ‘speruma ben’”.
Detto – fatto. L’allora prefetto dott. Gallitto non ebbe obiezioni di sorta, così come furono perfettamente in linea con “l’operazione ponti – argini” tutti gli uffici tecnici comunali e (più su) quelli regionali e nazionali . Probabilmente era già di quella consiliatura (o della successiva del 1997) l’idea di un Piano Integrato per lo Sviluppo Urbano (il famoso P.I.S.U.) che in qualche modo andava a giustificare tutta una serie di grandi lavori con “accompagnamenti” finanziati da canali regionali ed europei. Secondo il refrain più volte sentito: “Non operiamo solo lungo l’alveo per rifare ponti e argini…ma miglioriamo passaggi pedonali, vie ciclabili, promuoviamo nuovi parcheggi ed attrezziamo aree verdi importanti”. Quest’ultimo frammento di comunicazione non è da ascrivere al Sindaco Calvo ma a qualche suo collaboratore, o a qualche “maitre a penser” delle successive consiliature che, sull’argomento, ha sempre mantenuto cautela. Probabilmente la maggioranza dei DS (così si chiamava l’antenato del PD attuale) di fine anni ’90, così come la Sindaca Scagni e – anche – il prof. Fabbio (Sindaco dell’”abbattimento del ponte Cittadella”) avrebbero preferito altre soluzioni ma si trovarono “per le mani” un’opera di smaltellamento-trasformazione già avviata nei suoi tratti fondamentali. Senza poter avere quell’approccio “complessivo” , quella “visione d’insieme” del bacino fluviale che, sola, può garantire soluzioni a lungo termine.
Perché è proprio su questo punto che, come si dice “casca l’asino”… ; la convinzione che non ci fossero le ‘adeguate condizioni amministrative di garanzia’ per intraprendere soluzioni “altre” ha portato la dott.ssa Calvo e il dott. Gallitto alla scelta più diretta e di sicura efficacia. “Alziamo gli argini, alziamo i livelli dei ponti per quanto possibile e per gli altri ‘ci pensi Iddio’”. Quest’ultima comunicazione, sicuramente “calviana” meriterebbe un più sbrigativo “chi s’rongiu…” ma non voglio arrivare a tanto.
Solo che , a volte, i problemi ritornano “belli, pieni e rotonni” (*) come se nulla fosse stato.
Ben quattro volte dopo il 1994 ci sono state emergenze significative, la penultima (un po’ sopravvalutata, quella del 2009 ) è servita addirittura per invocare un bombardamento a tappeto del ponte Cittadella, quello del 1886, allora ancora serenamente in piedi. Come se eliminando il ponte si fossero risolte tutte le magagne “idrogeologiche” di Alessandria.
Nel 2002, quindi in soli sei anni di progettazioni febbrili e lavori “sotto traccia”, si era già arrivati a buona parte delle attuali arginature impostate ed anche al rinnovo dei collegamenti fra una sponda e l’altra (essendo stati autorizzati gli abbattimenti del ponte Ferrovia e del ponte Forlanini – anche quello “storico” e di sicuro salvabile in altre congiunture amministrative-) . Restava il “vecchio” Cittadella … con tre opzioni a disposizione: uno – mantenimento del manufatto dopo consolidamento (ma con la costruzione di aree di laminazione a monte o, in subordine, con interventi sulla “soglia” sottostante il ponte); due – abbattimento dello stesso con contestuale costruzione di un ponte monumentale di cui era già stata pagata la parcella (quattro miliardi di vecchie lire) all’arch. Richard Meier; tre – abbattimento del precedente ponte senza nulla in sostituzione o – al massimo – una passerella ciclo-pedonale.
La storia recente ci ha ben descritto come è andata a finire ma, forse, poco si è ragionato sul perché, per la seconda volta, non sono state prese in considerazione soluzioni alternative (soprattutto le “aree di laminazione” che, noi ambientalisti, vorremmo come quelle della Mosella in Germania o della Mosa in Belgio-Olanda, cioè senza colate di cemento e in pieno accordo con il mondo agricolo).
Ma… ora ci risiamo e per questa “terza volta “ non ci si può rifugiare in un comodo “a’l sava nenta”… Ora si può sapere tutto, ci sono studi di Università italiane (collegate con aziende tecniche italiane leaders nel “movimento terra” ) che ben sanno come costruire una area di laminazione non particolarmente costosa e con minimo impatto. Più che documentarsi – visto che di sicuro sono ben conosciuti questi studi – sarebbe utile capire che tipo di futuro si vuole per quella parte di città vicina ai fiumi… se ogni volta che piove “un po’ di più” si devono invocare tutti gli dei dell’Olimpo oppure se l’approccio potrebbe essere differente.
Lo scriveva già il prof. D’Alpaos nella sua relazione conclusiva all’indagine ordinata dal procuratore dott. Brusco: “E’ necessario regimare una quantità d’acqua – in condizioni paragonabili a quelle dell’evento del novembre 1994 – pari a cento milioni di metri cubi” per avere effetti concreti nel basso Tanaro.
Concetto ripetuto anche dal prof. Seminara e, anche se incidentalmente rispetto ad altre aree di laminazione (quelle venete) dall’ing. Maione. I progetti di massima per quelle più vicine alla città (in zona Astuti) ci sono già, alcune realizzazioni ad Isola d’Asti e a Rocchetta Tanaro, pure… Ora si tratta di continuare in modo organico, il più possibile efficace, veloce e con il minimo impatto sul territorio. La “volontà politica” in questi casi deve essere “univoca” e ben indirizzata, la capacità di arrivare a finanziamenti appropriati (non più di trenta milioni di euro complessivi se si utilizzano criteri di ingegneria naturalistica) anche… il resto compete agli esecutori materiali che, ne siamo sicuri, saranno all’altezza del compito.
Una chiosa finale. Probabilmente anch’io nei panni della dott.ssa Calvo, in quei concitati momenti e con il mondo intorno che ti guarda ma non fa nulla … avrei fatto lo stesso, quindi – da parte mia – d’ora in avanti considererò in nuova luce quella particolare fase della storia amministrativa alessandrina.
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(*) Carlo Alberto Camillo Salustri (Trilussa) – “Stelle de Roma” 1890