Quattro diverse denominazioni piemontesi hanno il nome “Barbera” come protagonista: Barbera d’Asti (anche nella categoria Superiore, con le sue sottozone) e Barbera del Monferrato Superiore D.O.C.G., Barbera d’Alba e Barbera del Monferrato D.O.C.; e anche se non si possono dimenticare le diverse denominazioni in cui il nome “Barbera” compare in secondo piano né quelle che con nome diverso esemplificano comunque perfettamente le potenzialità di questo vitigno in certi territorî (la D.O.C.G. Nizza, per esempio), cerchiamo di concentrarci qui sulle quattro sopracitate.
Il vitigno è fra i piú amati in assoluto, e in territori vocati è in grado di esprimersi tanto in vini vivaci di pronta e facile beva quanto in vini profondi e complessi votati anche all’invecchiamento. L’uva, per le sue caratteristiche di adattabilità e potenzialità, è la varietà autoctona italiana piú coltivata all’estero oltre a essere molto diffusa in tutta la Penisola.
Il Monferrato è però senza eventualità di dubbio il luogo d’elezione del vitigno barbera, uva che ama suoli profondi e argillosi non troppo fertili, e che meglio si esprime in climi ventosi e relativamente siccitosi.
Il Barbera d’Asti si produce fra le Province di Alessandria e Asti da una base di almeno il 90% Barbera; l’uva dev’esser coltivata in terreni collinari; i tempi di maturazione minimi imposti dal disciplinare sono davvero brevi (solo la tipologia “Superiore” e “Vigna” deve obbligatoriamente superare l’anno), il che rende conto di quella tradizione di vino gioviale che accompagna questo prodotto. Il Barbera del Monferrato Superiore si produce con un minimo dell’85% di Barbera, mentre al restante della massa possono concorrere Dolcetto e Freisa e Grignolino; le indicazioni per la maturazione sono simili a quelle citate prima, e prevedono almeno quattordici mesi dei quali sei necessariamente in legno. Il Barbera d’Alba si produce in Provincia di Cuneo, e il Nebbiolo può concorrervi per un 15% massimo. Il Barbera del Monferrato (come per il suo fratello Superiore) è prodotto nelle Province di Alessandria e Asti.
Davvero è notevole il duplice spirito di questi vini: da un lato profondi campi di meditazione destinati a durare negli anni, dall’altro vivaci compagni di conversazione con piatti semplici e poco impegnativi; da un lato nettare ricercato e inseguito di annata in annata anche alle Aste, dall’altro strumento di taglio per correggere certi parametri di vini ritenuti piú importanti.
Dal momento che su queste pagine mi piace chiacchierare e che credo sia importante sperimentare come la facilità – se accompagnata a qualità – sia tutt’altro che cosa triviale, è uno di questi vini briosi e piú leggeri che vorrei proporre di assaggiare. I 15°C andranno benissimo per godersi questo prodotto, che serviremo in un ballon stelo lungo di media ampiezza nel quale il vino mostrerà volentieri il suo abito di rubino violaceo; i profumi avranno il medesimo colore, vinosi e fruttati di visciola con un immancabile ricordo di sottobosco (se conosciamo il vigneto da cui proviene il nostro assaggio, possiamo immaginare d’esser là col vento che spira dal lato giusto) magari corroborato da una scia dolce di cannella; in bocca noteremo per prima cosa l’acidità, molto pronunciata ma equilibrata – si spera – da una socievole compagnia di alcol e morbidezza glicerica.
I consigli per abbinamenti, per un vino cosí conviviale, si sprecano: tagliere di salumi, lasagne ai funghi, fettuccine con ragú bianco, fettina di vitellone in padella con prezzemolo e aglio, grigliata mista di carni senza salse ma con un filo d’olio di Taggiasca; valutando caso per caso i singoli vini, ci si può divertire a godersi abbinamenti anche con diverse preparazioni di pesce.
Davvero gustoso è l’accostamento con il Cacciatore, ovvero i Salamini Italiani à la Cacciatora D.O.P., la cui produzione è consentita anche in Regione Piemonte. Si tratta di insaccati stagionati di piccola pezzatura (si presti attenzione al fatto che la condizione è necessaria ma non sufficiente, e che non tutti i salami di piccolo diametro sono identificabili col nomignolo – peraltro bruttarello – di “Cacciatorini”: ché questo non fa che svilire da un lato i Cacciatore veri e dall’altro il piccolo salame in questione che magari è ottimo in quanto tale e non avrà bisogno di perdere la propria specificità mutuando un nome che non gli appartiene). Si tratta di bocconi morbidi, di gusto saporito e relativamente dolce. In base al singolo vino, può esser ottimo in abbinamento da solo oppure accompagnato da un pezzetto di pane integrale impastato con un cucchiaino di miele.