“A volte è facile dimenticare che per la maggior parte del tempo brancoliamo nel buio” Marty Byron
Boston, 2001. La redazione del Boston Globe, capitanata dal neo direttore Marty Byron, decide di approfondire le dinamiche di una vicenda legata ad un abuso sui minori da parte di alcuni eminenti religiosi locali. Pian piano, la questione si rivelerà essere molto più ampia e complicata del previsto, portando il team a muoversi con cautela e costanza per poter ottenere una verità che in molti sembrano voler ignorare.
La squadra, unita e determinata a conoscere l’accaduto, proseguirà le indagini scontrandosi con un muro di omertà volto a proteggere le diverse parti del clero coinvolte, scoprendo anche altre figure gravemente responsabili dei fatti e della loro omissione.
Nel loro percorso, si rivelerà assai preziosa la collaborazione con un avvocato che li metterà in contatto con diverse vittime degli abusi ormai divenute adulte, persone provenienti da famiglie disagiate che cercavano nella parrocchia locale un po’ di sostegno.
E così, fra testimonianze toccanti, ostacoli ed indagini scrupolose, il gruppo riuscirà a far luce sulla vicenda, interrogandosi anche su quanto realmente loro stessi avrebbero potuto fare già anni prima per poter segnalare il terribile episodio.
Potente, coraggioso e attuale, ecco un film da vedere per capire meglio cosa voglia dire fare giornalismo con serietà e dedizione, scegliendo di andare fino in fondo a questioni scomode che i più vorrebbero oscurare, pensando che magari, un giorno, qualcun’altro se ne occuperà.
Nonostante l’argomento affrontato sia particolarmente scabroso e delicato, il regista Tom McCarthy è riuscito con maestria a narrare la vicende in maniera sobria e rigorosa, non puntando il dito verso una precisa categoria di persone, ma limitandosi a descrivere gli avvenimenti, avendo peraltro il buon gusto di non sottolineare sgradevoli dettagli dell’accaduto, che possono essere tristemente immaginati da chi guarda il film.
Basato sulla vera inchiesta iniziata nel 2001 dal gruppo “Spotlight” di Boston, poi vincitrice del premio Pulitzer, il nastro ha ricevuto molte lodi , oltre a rivelarsi uno dei protagonisti della notte degli oscar 2016, aggiudicandosi ben due statuette, come miglior sceneggiatura originale e miglior film.
Precisa anche la scelta del cast, che si rivela capace di creare una veritiera atmosfera di cooperatività, quasi come se gli attori fossero realmente membri di un redazione giornalistica, uniti dalla determinazione di raggiungere un obiettivo comune.
Mark Ruffalo, Rachel McAdams, Michael Keaton,John Slatery e Liev Schreiber si muovono davanti alla camera in maniera spontanea ed affiatata dando vita a figure credibili e caratteristiche, usando le proprie capacità per impersonare al meglio i ruoli, senza però rubare spazio alla vicenda, unica vera protagonista della pellicola. L’impeccabile bravura recitativa di ogni parte infatti, si amalgama perfettamente al contesto, rendendo quasi impossibile stabilire chi sia più bravo nell’interpretare il proprio personaggio, vista la totale sintonia fra gli attori, che comunicano al meglio anche quando si guardano fra loro senza dire una parola.
Un viaggio nel mondo del giornalismo raccontato in maniera superlativa, la storia straziante di chi si è visto rubare la propria innocenza da chi avrebbe dovuto preservarla, rappresentando quella fede in cui molti ripongono ogni speranza.
Sicuramente impegnativo e concentrato sui meccanismi che ci celano dietro alla rielaborazione di una notizia, questo film apre gli occhi allo spettatore non prima di avergli scosso l’animo, senza bisogno di scene forti o dialoghi succulenti, solo facendo si che nella mente di chi guarda la pellicola, vi resti l’immagine nitida di un infanzia sporcata per sempre.