Silenzio.
Mi si voglia perdonare se introduco nella sede conviviale di questa rubrica un ospite taciturno. Si sa che l’H è muta, e che il silenzio induce pensieri strani che assomigliano alle mestizie e alle gioie della notte; il Vino nostro amico, centro delle nostre conversazioni a questo nostro simposio, ama questo genere di pensieri: e, come la Musica, ama il silenzio.
L’Ospite che viene col silenzio è noto a tutti; è cattivo gusto, si dice, introdurlo a una tavolata: perché tace, seduce, inquieta. Anche il vino e la Vita tacciono seducono inquietano: e cosí il nostro Ospite, scuro e silente. Ma io sono disposto a farmi tacciare di malgusto, e lascio entrare l’Amico zitto: che scivola fra noi e resta all’impiedi dietro la tavola nostra imbandita di coppe e calici; possiamo star tranquilli: finché non siede e non beve egli non chiede di noi, ma vuol solo scambiare qualche cenno.
Come spesso accade, è un anniversario ad aver richiamato l’Ultimo Venuto dalla sua reggia tetra e felice. Siamo a sei mesi – cadranno il sei agosto – da che il nostro buio Compare è andato a far visita in Firenze a Giacomo Tachis. Mezz’anno. Gli acini d’uva che vivevano il cuore del loro riposo quando Giacomo Tachis ha vissuto l’abbraccio del proprio ora vivono il culmine del loro accrescimento. Un uomo che abbia consacrato la sua vita al pulsare antico ed eterno dei ritmi di rinnovamento della terra e al mormorare vibrante e paziente dei prodotti umani deve aver apprezzato assai piú di quanto potremo mai fare noi quel momento del suo sei febbraio duemilasedici.
Definito – a seconda dei gusti araldici – il principe o il re dell’Enologia italiana, Giacomo Tachis nacque a Poirino (Provincia di Torino) il quattro novembre del millenovecentotrentatré; a ventuno anni si diplomò alla Scuola Enologica di Alba. Una formazione – biologica e professionale – tutta piemontese, dunque: poi venne la Francia, dove certo imparò molto; ma rimase un poco piemontese: come piemontesi (pur nella lettura necessariamente nuova del genio) sono i suoi Barbera e Nebbiolo; ed emiliano il Lambrusco, siciliani i Nero d’Avola e Inzolia e Catarratto e Grillo, sardi Vermentino e Carignano, Toscani i Sangiovese.
Ecco: la Toscana. A questa Regione di norma si lega il nome di Giacomo Tachis, autore della italiana “wine renaissance” che ha avuto in Toscana il suo epicentro. La fermentazione malolattica e i legni piccoli applicati al Chianti Classico, e soprattutto i cosiddetti “SuperTuscan”. Si tratta di miracoli d’enologia, nati dal genio di Giacomo Tachis e dalla lungimiranza dei Marchesi Incisa della Rocchetta e Antinori nelle leggendarie tenute di Tignanello e di San Guido. I nomi di “Solaia” e “Tignanello” fanno poesia di per loro, quello di “Sassicaia” è emozione pura al solo pronunciare. Vini profondi e densi, dotti di una cultura emozionale e facile; vini stondati senz’altro, fatti per piacere, furbi se si vuole. Vitigni e metodi per lo più internazionali leggono e rileggono un territorio e una tradizione che sono di diritto parte del mito e del sentimento. “San Leonardo” e “Turriga” dimostrano in territorî diversi che l’idea è potente e bella. Questo era Giacomo Tachis per chi non l’ha conosciuto.
Chi l’abbia incontrato di persona si riconosce, perché gli s’arrochisce la voce quando ne parla. L’emozione. L’emozione era la missione e il linguaggio di Giacomo Tachis. Nel duemiladieci s’era ritirato a vita privata coi suoi bellissimi libri. Ha lasciato dietro di sé i suoi vini, e un’Italia del Vino tutta nuova, viva e vivace, intelligente, competitiva (e pare che sia ciò che conta) e significativa (e forse questo conta di piú). Perché il carattere accattivante dei vini di Giacomo Tachis era (è) sempre legato a un senso profondo del vitigno e del territorio, oltre che all’esattezza della vinificazione e all’intuito del Mercato: che ha portato molti di questi prodotti ad alti prezzi, non troppo usuali per vini italiani. Ma il costo elevato, ma non troppo, fa parte del fascino di queste bottiglie: chiunque, magari scegliendo di risparmiare su altro, può permettersi di acquistarne (siamo, anche per le piú costose, ben lontani da vertici davvero proibitivi), ma comunque ci si rende conto che è cinque o dieci volte quanto si spenda normalmente per altre etichette; e si ha la sensazione (e cosí è) di toccare qualcosa di straordinario; poi si versa, il vino è costruito apposta per piacere, e piace, ma pur essendo facile non è facilone, e ognuno ne coglie sfumature diverse che pesca nella densità del tutto come una stella si osserva fra le altre; da sopra il calice ci si guarda eccitati, ci si comunica con uno sguardo ciò che si è colto, ognuno crede di vedere nell’altro ciò che ha colto lui e invece è qualcos’altro; ma ci si capisce sempre nell’emozione condivisa. E Giacomo Tachis fa il suo sorriso semplice e denso.
Silenzio.