Canavese è una denominazione recente, rispetto ad altre del Piemonte che sono fra le piú rappresentative dell’intera tradizione nazionale. Il nome fa riferimento chiaramente alla zona del Canavese, che si trova a cavallo delle Provincie di Torino e Biella e Vercelli e che ha in Ivrea la sua città capitale. Il territorio ha un’alta vocazione vitivinicola, essendo la terra d’origine degli ottimi vini di Caluso e del mitico Carema (o “dei mitici vini di Caluso e dell’ottimo Carema”, che dir si voglia: comunque, tutto con la C!).
La Denominazione d’Origine Controllata prevede la produzione, nella zona citata e con particolari indicazioni per le singole tipologie, di: Canavese Rosso (a maggioranza: Barbera o Bonarda o Freisa o Nebbiolo o Neretto di Bairo), C. Rosato (stesse uve del Rosso) e Rosato Spumante, Bianco (totale di Erbaluce) e Bianco Spumante, C. Barbera e Canavese Nebbiolo.
Oggi vorrei proporre un assaggio delle tre tipologie “Bianco” e “Barbera” e “Nebbiolo”, perché – non occupandomi qui di aziende specifiche, ma delle caratteristiche generali dei vini di cui si tratta – non sarebbe possibile delineare in assoluto le caratteristiche del Rosso e del Rosato: che varieranno invece sostanzialmente in base alle scelte di uvaggio dei diversi produttori.
La versione Barbera e la versione Nebbiolo devono esser prodotte con almeno l’85% delle rispettive uve (per l’eventuale resto, vitigni idonei alla produzione in Regione), il Bianco – come detto – è Erbaluce in purezza. Mi permetto in particolare di segnalare quest’ultimo agli amanti del vitigno, che – a patto di trovare una buona bottiglia – non rimarranno delusi dalla Denominazione meno blasonata.
Suggerisco di servire il Bianco attorno ai 10°C in bicchieri a tulipano di dimensioni abbastanza modeste, nei quali rimirare i riflessi verdognoli nel color paglierino e bearsi dei profumi vegetali (che, sempre vagamente resinosi, potranno variare fra il sambuco e il bosso) e fruttati (pesca bianca soprattutto) sempre sostenuti da intense scie minerali; le quali ultime si faranno novamente notare in bocca grazie alla spiccata sapidità di questi vini, che sarà comunque accompagnata da una bella morbidezza. Consiglio un bicchiere a ballon stelo lungo di media ampiezza ed una temperatura di 14-15°C per la versione Barbera, che si mostrerà di un limpido color rubino striato di porpora e manderà profumi croccanti di ciliegia e frutti di bosco con sfumature floreali ed erbacee; si farà apprezzare per la piacevolezza del sorso, sostenuto da freschezza e sapidità e dalla carezza dei tannini. Alzerei la temperatura attorno ai 16°C e sceglierei un bicchiere a tulipano di ampiezza maggiore rispetto al primo per il Nebbiolo, che tingerà il calice di un rubino trasparente e manderà profumi floreali che potranno variare fra la rosa e la viola e sentori di pepe oltre a qualche nota piú pungente (dalla liquirizia al tamarindo); in bocca si noterà il tannino che ci si aspetta dal vitigno, abbracciato da una morbidezza che risponde alla freschezza ed alla sapidità ben evidenti.
Suggerirei per il Bianco l’abbinamento con un primo piatto delicato ma profumato, specie se con asparagi (risotto o tortelli); la versione Barbera è la piú semplice da mettere a tavola, e si sposerà facilmente a lasagne alla carne o ad una fettina in padella; abbinerei il Nebbiolo a preparazioni di carne bovina non troppo complesse (scaloppine o spezzatini, ad esempio), scegliendo possibilmente il celebre Fassone.
Se ai lettori va, mi consento un simpatico esperimento: accostare tutti e tre questi vini – abbastanza diversi fra di loro – ad uno stesso prodotto gastronomico, scegliendo naturalmente qualcosa di semplice, per provare all’atto il giochino e l’arte degli abbinamenti: e sceglierei un’ottima D.O.P. piemontese come il Crudo di Cuneo. La produzione avviene nelle Province di Cuneo ed Asti oltre che in alcuni Comuni della Provincia di Torino; la particolare esposizione della zona ai venti e la costanza della componente di umidità garantiscono una perfetta stagionatura, che prosegue per almeno dieci mesi dopo la salagione; il prodotto si caratterizza per una buona aromaticità e per la dolcezza delle fette compatte ma morbide.
Personalmente, sono molto soddisfatto dell’accostamento al Bianco: la sapidità del vino contrasta deliziosamente con la tendenza dolce del cibo cosí come la morbidezza del vino con la sapidità del cibo, e solo l’acidità del Bianco appare un poco eccessiva rispetto alla grassezza contenuta del prosciutto mentre le aromaticità si sposano bene; assai piacevole è l’accostamento con la versione Barbera, specie in bocca dove la trama tannica del vino bilancia bene una certa untuosità del cibo: per il resto, sono anche qui sapidità e morbidezza a sposare tendenza dolce e sapidità ed a render gradito il risultato finale; nettamente piú infelice è l’accostamento col Nebbiolo, che ne esce unico vincitore schiacciando il peraltro ottimo cibo: vittoria però ben grama, dal momento che anche del vino rimane una versione sgraziata, sporcata nei tannini e svergognata negli aromi. In definitiva, sconsigliato il Nebbiolo, bisogna scegliere che cosa si preferisce: il Bianco lascerà un poco di untuosità al cibo ma garantirà una rispondenza quantitativa e qualitativa degli aromi certamente migliore, la versione Barbera pulirà perfettamente la bocca ma prevarrà un poco sul cibo e gli sopravvivrà; un poco per tecnica e piú per gusto, mi permetto nonostante tutto di suggerire la prima scelta.