Paure e incubi della classe media

Patrucco Giancarlodi Giancarlo Patrucco
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Quando si parla di classe media, in Italia e non solo, ci si riferisce genericamente a un vasto quanto vario agglomerato di individui, che nei Paesi industrializzati va ben oltre la metà della popolazione. Come si può facilmente capire, questo enorme ceto ha bisogno quindi di descrizioni meno generiche e di differenziazioni interne, che lo segmentino e permettano di capire a chi, di fatto, ci si riferisce. E’ quello che proverò a fare io, qua, tracciando alcuni elementi del profilo oggetto di questo articolo.

La parte di classe media a cui intendo riferirmi è quella che qualcuno ha definito come piccola e media borghesia. In sostanza, lontana dalla grande borghesia e dal ceto dominante, ma anche distante da coloro che si trovano sotto la soglia di povertà o poco al di sopra. Distante fin che potrà, temo.

Questa borghesia, ormai agée, si compone essenzialmente di piccoli artigiani e di piccoli commercianti, nonché di un robusto manipolo di lavoratori dipendenti, spesso pubblici, e di pensionati con un livello di reddito dignitoso.

Agiati? Non proprio. Però provvisti di una tangibile sicurezza economica acquisita nel tempo dai loro padri e dai padri dei loro padri, attraverso l’accumulazione di un risparmio che è attitudine mantenuta anche dai discendenti di oggi, e da alcune certezze: il posto sicuro per i dipendenti, l’assegno sicuro dell’Inps per i pensionati, un’attività in proprio che, pur tra alti e bassi, fornisce garanzie di continuità; l’investimento nel mattone, nei bot e nei btp, con qualche piccolo brivido sul mercato obbligazionario, sempre e comunque a rischio basso, bassissimo.
Non necessariamente conservatori, ma conservativi, questo sì. Poco propensi ai cambiamenti, poco propensi alle innovazioni se non a quelle che rendono più facile la vita: un pizzico di tecnologia, un po’ di migliorie alla casa, qualche viaggetto qua e là.

Una vita tutto sommato senza scosse, sulla quale si abbatte qualche anno fa un cicloneClasse media imprevedibile e imprevisto: la bolla speculativa, la caduta dei mercati azionari e del mercato immobiliare, il tracollo del posto – e dunque del reddito – fisso. Di fisso non rimane più niente, tranne la tendenza dei governi a tagliare, contenere, raschiare il welfare state. Tendenza che prosegue tuttora, perché chi l’ha detto che siamo fuori dalla crisi? Quale crisi? Qui sembra che alle crisi non ci sia soluzione di continuità e la ripresa sia quella delle vecchie 600. A farle arrancare bastava un cavalcavia.

Perso ogni punto di riferimento, al povero borghese medio-piccolo viene a mancare anche l’unica certezza rimasta: i soldi che ho in banca sono miei, quindi posso prenderli quando pare a me. Sicuro? Beh, non proprio, perché la Comunità Europea sancisce che, in caso di default di una banca, partecipino al ripianamento non gli Stati, com’è accaduto ancora tre o quattro anni fa, bensì gli azionisti, gli obbligazionisti e, udite udite, anche i correntisti, da 100.000 euro in su. Insomma, se tieni i tuoi soldi in banca, rischi di trovarti coinvolto nella sua gestione, anche se ne sei del tutto inconsapevole e certamente non colpevole.

Alternative non ce n’è. Compra i bot, garantisce lo Stato. Compra i buoni postali, sono sicuri. Approfitta della discesa del mercato immobiliare, compra mattoni. Ma comprare è questione di fiducia e di fiducia, oggi in giro, non ne trovi proprio più. Così, si resta costantemente in allarme, con gli occhi fissi al telegiornale che titola sempre cattive notizie e alla cassetta della posta che rigurgita di bollette. C’è qualche politico in grado di assicurarti un futuro migliore del presente? Sì. Ma solo nel talk show.