Don Giuseppe Bodrati: “A scuola e in parrocchia dico sempre ai ragazzi: non offendete mai la mamma e la religione del vostro prossimo!”

Bodrati 4“Come faccio a dimenticarmelo, quel 6 novembre 1994? Monsignor Charrier mi aveva appena destinato, come diacono, alla comunità di Frascaro e Gamalero, e quella mattina mi accompagnò per presentarmi ai parrocchiani. Tornando ad Alessandria, scopriamo che il Tanaro è straripato, e che mezza città è sott’acqua, come diversi sobborghi. A quel punto ci precipitiamo da don Ivo, a San Michele, e il Vescovo mi dice ‘rimani qui a dare una mano’. Da allora è cambiato tutto il mio percorso”. Di aneddoti così don Giuseppe Bodrati può raccontarne diversi. Sia perché ha avuto ed ha una vita piena di esperienze, sia di fede che umane. Sia perché è un eccellente comunicatore, come sa chiunque lo abbia ascoltato, non solo dal pulpito ma anche dai microfoni di Radio Voce Spazio, l’emittente diocesana o, come in tanti dicono per comodità, ‘la radio di don Ivo”. Intendendo naturalmente don Ivo Piccinini, che abbiamo già avuto modo di presentare a fondo ai lettori di CorriereAl.

Proviamo allora, davanti ad un buon ‘marocchino’ autunnale, a farci raccontare da don Giuseppe la sua storia, per nulla ordinaria, tra vocazione sacerdotale in età adulta e fortissima attenzione al mondo dei giovani, e a quello dei carcerati (da 7 anni don Bodrati è anche insegnante di religione alla scuola del carcere di San Michele, oltre che all’Istituto Volta).

 
Don Giuseppe, ad Alessandria la conoscono in tanti, ma ci sintetizzi per iBodrati Piccinini nostri lettori la sua storia di ‘ragazzo di San Michele’, e di parroco in età già adulta. Come ci è arrivato?
E’ stato un percorso molto naturale in realtà, e assolutamente consequenziale. Sono alessandrino, figlio di agricoltori, ho 62 anni. Ho incontrato Cristo a San Michele, il mio paese, che ero ancora un ragazzo. Nel senso che mi avvicinai all’oratorio del paese intorno a metà degli anni Settanta, come altri miei coetanei, grazie al vice parroco dell’epoca, che era un frate canossiano. Poi arrivò don Ivo, era il 1976: e fu certamente un incontro fondamentale per le mie scelte future. Il suo modo di essere sacerdote, di vivere la vocazione con passione vera, tra la gente e per la gente, non poteva che essere un esempio. Ovviamente questo non significa che nella vita del prete non ci siano rinunce e sacrifici. Ma don Ivo fu ed è la dimostrazione di come il percorso possa essere gioioso, vitale, proiettato verso gli altri.

Però lei non intraprese subito il percorso del sacerdozio….
No, ci sono arrivato per gradi. Ho conseguito il diploma, poi ho lavorato per un po’ allo zuccherificio di Spinetta, e nel frattempo, sempre tramite don Ivo, seppi che c’era necessità di un insegnante di religione, il sabato mattina, alle scuole medie di Valle San Bartolomeo. Accettai, non senza timori, e fu una bellissima esperienza. Al punto che decisi che insegnare religione poteva essere la mia strada: fui uno dei primi iscritti all’Istituto Superiore di Scienze Religiose di Alessandria, e divenni insegnante in maniera stabile a partire dal 1984, se la memoria mi sorregge.

Nel frattempo divenne anche diacono?
Ad ordinarmi diacono fu Monsignor Charrier qualche anno dopo, nel 1992…

Alluvione 1994 nuovaPoi, appunto, la tragedia dell’alluvione: è allora che lei torna a San Michele?
Sì, nel modo curioso che appunto vi ho raccontato. San Michele, il mio paese, era distrutto, concretamente, ma anche a livello psicologico, nello spirito della comunità. Ed è stato bello e importante vedere le persone reagire, crederci, aiutarsi a vicenda. Nei 12 mesi successivi all’alluvione un contributo fondamentale ci arrivò dagli obiettori e dai volontari della Caritas Diocesana: in tutto 120 persone, comprese 15 ragazze, che regalarono alla comunità di San Michele non solo risorse materiali, comprese microborse di studio e di lavoro, ma la propria vita, le proprie giornate, il proprio spirito. E chi è passato attraverso simili tragedie sa quanto la solidarietà, la vicinanza umana siano importanti quanto e più degli aiuti materiali.

Nel frattempo lei decise di prendere i voti come sacerdote?Fiocchi 1
Il mio persorso spirituale nel frattempo continuava, certamente. E fu importante il confronto con tante persone, e uomini di chiesa: don Ivo e il vescovo Charrier li ho già citati, aggiungiamo pure don Walter Fiocchi, che ebbe al fianco di Charrier un ruolo importante. Con Walter eravamo spesso anche in dissenso: ma è stato sempre un confronto vero, profondo, e certamente lui è stato tra coloro che mi hanno aiutato a maturare la mia scelta. Nel frattempo Charrier si ritirò (ma fu lui a nominarmi direttore dell’ufficio per l’insegnamento della religione cattolica), e fui ordinato parroco dal nuovo vescovo, Giuseppe Versaldi (oggi cardinale, ndr) il 6 giugno 2009. Almeno questa data spero di non sbagliarla! E poi ci sono stati i vari incarichi successivi: cappellano della casa di reclusione di San Michele, e poi con Monsignor Gallese parroco di San Pio V, e amministratore pastorale della parrocchia del Cuore Immacolato di Maria.

Viene da chiederle: ma come riesce a fare tutto?
(sorride, ndr) Eh, infatti si corre parecchio, e si cerca di organizzarsi il meglio possibile. Però in carcere, ad esempio, un aiuto ormai fondamentale me lo dà don Andrea, il diacono che mi affianca, che credo abbia ormai tutte le carte in regola per sostituirmi.

Carcere San MicheleCom’è il carcere?
E’ un mondo pieno di umanità, e naturalmente anche di sofferenza. Ma a San Michele in questi anni ho vissuto un’esperienza completa, e piena: siamo una vera comunità, e penso ai detenuti, ma anche a chi lavora lì dentro, dalle guardie agli educatori, a tutti gli altri. Compresi i direttori che si sono succeduti in un mestiere francamente molto complicato.

Don Giuseppe, questi sono momenti davvero delicati e particolari, ilIslam clima internazionale, dagli attentati ai bombardamenti, fa pensare ad un clima da guerra di religione. Come se ne esce?
Col dialogo, con il confronto, ma anche con la difesa inflessibile dei nostri valori. Parlavamo di carcere: lì le tensioni religiose talora le vedi radicalizzate. Da un lato gli islamici più integralisti e ‘chiusi’, dall’altro alcuni cristiani e cattolici altrettanto duri, poco inclini a capire l’altro. La sfida è provare a condurli verso un atteggiamento di rispetto reciproco. Certo, lì è più facile, sei un ambiente controllato e disciplinato. Ma ovviamente in questo momento dobbiamo sforzarci, tutti, di evitare semplificazioni, o di accostare tutti gli islamici al terrore dell’Isis. D’altro canto, terrorismo a parte, è innegabile che parliamo di due civiltà molto diverse. Per sintetizzare in una battuta, noi abbiamo il Vangelo, ma anche la Costituzione. Loro hanno solo il Corano. Ossia anche i cattolici fortemente credenti capiscono che esiste la fede, ma esistono anche le leggi dello Stato, che sono altra cosa. Gli ultimi secoli di storia e cultura occidentale, insomma, ce li siamo sudati, e vanno certamente difesi.

Volta esternoE a scuola che sensazione ha? Ossia, dopo trent’anni di insegnamento i ragazzi di oggi li capisce? E come sono davvero?
Non sono tutti uguali, prima di tutto. Sono colpito dall’atteggiamento di apparente distacco e disinteresse di una parte degli adolescenti di oggi, i cosiddetti ‘nativi digitali’, non solo nei confronti della religione, ma della comprensione di tutto ciò che li circonda. Vivono sprofondati, in maniera compulsiva, nei loro smart-phone, apparentemente sempre connessi col mondo, in realtà assolutamente isolati. Per contro ci sono per fortuna anche tanti ragazzi, e ragazze, attenti, curiosi, stimolanti: non si accontentano mai, vogliono sapere di più, capire. Nel mio percorso trentennale ho insegnato alle medie, poi al liceo classico Plana, al Fermi, oggi al Volta: e non mi sono ancora stancato francamente, è un’esperienza umanamente ricca.

Poi Radio Voce Spazio don Giuseppe: una passione di lungo corso, e cheRadio Voce Spazio non finisce. Il mercoledì mattina spesso è un piacere anche per il sottoscritto ricevere la vostra telefonata, e commentare i fatti del giorno, locali e non…
Purtroppo il mercoledì rimane per me l’unico giorno libero da altri impegni, che posso ancora dedicare alla radio: mezzo straordinario di informazione, divulgazione e intrattenimento, dialogo in diretta con le persone. Anche Voce Spazio, naturalmente, è merito soprattutto della tenacia e della genialità di don Ivo, ma anche di tanti volontari che nel tempo hanno prestato la loro opera, e la prestano tutt’ora. Ora, poi, è possibile ascoltarci non solo in Fm, ma anche in diretta sul web: il che significa non avere davvero più confini.

 

Ettore Grassano