“Vivo a Tenerife da quasi due anni ormai, e da allora seguo la politica italiana, e alessandrina, più di prima: grazie al web naturalmente, e al fatto di avere finalmente del tempo libero, da pensionato”. Alzi la mano chi tra i lettori non preferirebbe trascorrere l’inverno in arrivo alle Canarie, dilettandosi nella lettura delle cronache alessandrine solo da lontano, in una dimensione affettiva che naturalmente non verrebbe meno. L’avvocato Aldo Rovito può permetterselo, beato lui. “Ma non sono scappato col malloppo – sorride – perché per come ho sempre inteso la politica io soldi non solo non ne ho guadagnati, ma ce ne ho rimessi. Ma ho la pensione, e me la faccio bastare”. 74 anni, alessandrino dai primi anni Ottanta (e prima una vita avventurosa; nato ad Abbis Abeba, poi adolescente romano, quindi studente universitario e militante a Torino), Rovito ha vissuto il suo impegno politico sulle barricate della destra italiana, “e se un tempo avevo delle remore culturali a definirmi fascista, e dicevo genericamente ‘sono di destra’, oggi invece non ne ho più: ma ho sempre creduto e credo nel dialogo, nella necessità di convincere l’altro da me col ragionamento, e attraverso libere elezioni”.
Proviamo allora, seduti al tavolino di un bar del centro durante una delle rapide ‘incursioni’ alessandrine di Rovito (ci chiama al telefono a mezzogiorno: “sono qui fino alle 17, poi mi sa che per tutto l’inverno me ne sto al caldo: ci vediamo?”), a farci raccontare esperienze e punti di vista di un “figlio della lupa” per nulla pentito, e soprattutto a capire come un appassionato e praticante di politica di lungo corso vede la situazione di oggi, a livello nazionale e locale.
Avvocato Rovito, nostalgia di Alessandria?
(ridacchia sotto i baffi, ripiegando il giornale di carta che sta leggendo, ndr) Se intende della politica, neanche un po’! Di tanti amici invece sì: questa città ama descriversi come fredda e un po’ cinica, ma con me è stata accogliente, da subito e sempre. Comunque dove sto adesso vive benone, e qui torno quando serve, e quando il clima lo consente.
Quando arrivò ad Alessandria, e da dove?
Sono arrivato qui nei primi anni Ottanta, avvocato quarantenne, da Torino. Ma sono nato ad Addis Abeba, in Etiopia, e poi ho vissuto a Roma fino a 17 anni. Quindi a Torino negli anni ‘caldi’, e anche entusiasmanti. Decisi di lasciare quella città perché avevo bisogno di un taglio netto, per ragioni personali: mia moglie morì molto giovane, di malattia, e non potevo continuare a vivere in quella città, troppi ricordi.
Perché scelse Alessandria?
Per puro caso, e per qualche contatto occasionale. Avrebbe potuto essere Novara, o di nuovo Roma. Fu Alessandria, e tutto sommato fu una scelta fortunata, anche se casuale. Qui mi sono trovato bene.
Facciamo un passo indietro. Molto indietro: Rovito giovane balilla?
No, prima ancora figlio della lupa, il primissimo passo dell’Opera nazionale balilla: onore e disciplina. E poi, da adolescente negli anni cinquanta, mi iscrissi alla Giovine Italia, il movimento giovanile del Movimento Sociale.
Com’era la vita di un ventenne militante di destra nella Torino rossa e partigiana degli anni sessanta e settanta?
Stimolante, diciamo così: e mai monotona. Di aneddoti potrei raccontarne tantissimi: ricordo ad esempio quando, nel 1960, fu vietato ad Almirante di tenere il famoso comizio a Genova. La tensione era altissima, ci ritrovammo in un centinaio di militanti ventenni del Msi all’interno della sezione, e passò un corteo ‘rosso’ lì davanti, a provocarci: volevamo uscire, non temevamo lo scontro fisico, anzi. Ci fu impedito, forse è stato giusto così. E poi gli scontri di Piazza Statuto, nel 1962: lì c’erano gli estremisti di sinistra e quelli di destra, uniti contro un sistema che vedeva invece nel Pci e nel sindacato i suoi baluardi. Ma ricordo anche il volantinaggio ai cancelli della Fiat, alle Ferriere, molto prima del 1968, di Lotta Continua e di tutto il resto. Noi lì, a fine turno, a consegnare i nostri volantini a questi operai comunisti, enormi, che uscivano dalla fabbrica. Guardavano il ciclostile, vedevano il simbolo del Msi, e lo buttavano per terra, andandosene. Il tutto in silenzio, dalle due parti, in una contrapposizione forte, tesa, ma anche tutto sommato rispettosa. E poi non scordo le tensioni per la rivolta di Reggio Calabria, e i tanti giovani calabresi di Torino al nostro fianco. Ma spesso nelle piazze, nella protesta, ci trovavamo a fianco di Nonna Mao, una figura mitica di quegli anni, di tutt’altro orientamento. C’era grande fermento insomma, e anche confusione.
Poi cominciano gli attentati, la violenza di piazza. Lei ha mai girato armato?
Assolutamente no, anche se volendo era facile procurarsi una pistola. Ma ho sempre pensato che le armi della politica sono altre: e poi, francamente, o le armi o le sai usare bene, o rischi di farti male tu per primo. Per cui, quando nel 1975 mi aspettarono in quattro sotto casa, a mezzanotte, e mi massacrarono di botte, ero anche lì assolutamente disarmato. Feci alcuni giorni di coma, in cui i dottori dissero a mia moglie ‘può succedere di tutto’. Andò bene, e mi ripresi in un mese.
Non le venne voglia di smettere con la politica?
No, quello mai. Certo erano anni in cui vivevi con l’angoscia, e se ti incendiavano la macchina, da avvocato del sindacato di destra come ero io, ti pareva una cosa normale. Poi comunque via via il quadro è cambiato, e per scelta di vita ho deciso di lasciare Torino.
Alessandria come nuovo inizio insomma, la sua seconda vita…
Fu così: e qui mi integrai nel tessuto cittadino, fra lavoro di avvocato, politica e per un po’ anche l’insegnamento, senza particolari difficoltà. Non è vero che gli alessandrini sono così chiusi e inospitali insomma: o forse sono stato fortunato, non so. Ma anche adesso, quando passo di qui, ritrovo tanti amici, è piacevole.
Quando fu eletto consigliere comunale a Palazzo Rosso?
La prima volta nel 1985, sindaco era Mirabelli. L’ultima nel 2007, sindaco Fabbio. E lì, quando meno a metà consigliatura, quando capiì di non condividere praticamente più nulla di quello che stava facendo la maggioranza, avrei dovuto avere la forza di rompere, ed uscire. Non l’ho fatto, è stato un grave errore politico.
Il ruolo di amministratore pubblico trent’anni fa era ambito, e diciamo pure anche prestigioso: oggi sembra che ci voglia uno spirito da kamikaze per provarci. Cosa è cambiato?
Sono cambiate tante cose: ma la vera svolta credo sia stata l’elezione diretta del sindaco, cominciata qui ad Alessandria con il primo mandato Calvo. Sembrava all’epoca un vero salto in avanti, nella modernità. In realtà si è trattata di una personalizzazione della politica che ha generato mostri: oggi credo che la cosa sia ormai più che evidente. Personalmente vengo da una storia politica in cui sono sempre contati gli ideali, non i successi personali: e trovo che anche il meccanismo delle preferenze, e delle alleanze ad ogni costo per avere un voto in più, abbiamo mostrato nel tempo molte controindicazioni.
Nel frattempo lei dal Movimento Sociale passò ad An, poi a La Destra di Storace. E oggi?
Oggi La Destra esiste ancora, e io sono iscritto. Auspico, non solo per Alessandria ma per lo scenario nazionale, un percorso di forte condivisione fra tante anime del centro destra: da Fratelli d’Italia alla Lega di Salvini, ma anche appunto La Destra, Casa Pound, Forza Nuova. Purchè stia alla larga Forza Italia, almeno finché c’è Berlusconi….
Non le piace proprio, l’ormai ex Cavaliere?
Scendendo in politica ha snaturato quella che sarebbe stata la normale competizione tra noi, e l’ex Pci. Ricordo che nel 1993 ci fu, nelle grandi città d’Italia, più o meno ovunque un ballottaggio tra candidati provenienti dalla sinistra comunista, e candidati di destra, area Msi/An. Poi, con Berlusconi, guardi come si è ridotto il centro destra. Ora speriamo che riparta….
La vicenda di Roma è clamorosa: lei lì cosa immagina per la primavera?
Confido che le forze di destra, e l’asse Meloni Salvini, abbiano la capacità di puntare su un candidato autorevole, e unitario. E’ un’occasione importante: ma anche Milano e Torino saranno importanti.
E Alessandria 2017?
Sono lontano ormai: leggo e commento i giornali on line, ogni tanto sento qualche amico. Certo, anche qui bisognerebbe che emergesse, nel centro destra, un candidato davvero autorevole. La città mi sembra amministrata in maniera modesta, e merita di meglio. Al momento vedo ancora confusione, ma è presto.
Chiudiamo con il Rovito editore? Lei ad un certo puntò riportò in vita Il Popolo di Alessandria: esiste ancora?
Non esce da un po’, ma esiste eccome. E’ un giornale con alle spalle una storia importante, per la destra italiana. Pensi che la testata fu registrata nel 1943, prima di Salò, e per un certo periodo ebbe una tiratura da 300 mila copie, con uscite bisettimanali. Quando arrivai ad Alessandria, negli anni Ottanta, per un certo periodo il nome della testata mutò in Il Popolo Alessandrino, per poi tornare al nome originale. In effetti la testata è mia dal 2008, in futuro vedremo….
Ettore Grassano